Éntechno Laikò Traghoudi Nascita di un genere della popular music greca e aspetti di connessione con la produzione degli ACI in Francia

Errico Pavese

erricopavese[at]hotmail.com

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Abstract

Negli ultimi anni diversi studi hanno evidenziato come, nell’immediato secondo dopoguerra, la produzione di popular music greca si muova in una direzione simile a quella che prende forma in Francia nello stesso periodo, sebbene vi siano, al contempo, significative differenze. Il saggio intende focalizzarsi, in particolare, sui meccanismi di distinzione e formazione di un «nuovo» genere di canzone, l’éntechno laikó traghoudi («canzone popolare d’arte»), comunemente abbreviato in éntechno, e rappresentato, in questa fase iniziale, dalla produzione di due compositori: Manos Hadjidakis (1925-94) e Mikis Theodorakis (1925). Gli aspetti principali che permettono di accostare questa produzione di canzone greca con la coeva canzone francese sono: a) il recupero in chiave «alta» di generi di popular music tradizionale (nel caso della canzone greca, principalmente, il genere rebetico); b) l’esistenza di una produzione e di un insieme di pratiche discorsive che promuove l’incontro tra musica e letteratura, considerando le canzoni popular come forma di poesia e i musicisti popular come autori; c) la rilevanza sociale assunta in forme equivalenti da entrambi i generi di canzone e dai suoi autori nei due diversi contesti nazionali.

La comparazione verrà condotta secondo due principali direttrici: a) definizione del contesto di produzione dell’éntechno, ossia del ruolo assunto da Theodorakis e Hadjidakis nell’opera di rinnovamento della popular music greca e nell’uso di tendenze letterarie e testi poetici a tale scopo; b) esame dei principali aspetti musicologici e compositivi che permettono di accomunare le due produzioni di canzone che si sviluppano in Francia e in Grecia nel periodo tra il 1945 e il 1965. Attraverso esemplificazioni tratte dai repertori, si intenderà mostrare come il modello di «canzone d’autore» o di «poesia cantata» diventi, in Grecia, un principio di organizzazione di un sistema di popular music nazionale.

KEYWORDS: éntechno laikó traghoudi; Manos Hadjidakis; Mikis Theodorakis; popular music in Grecia; rebetico.

Introduzione e fonti

Questo articolo intende presentare gli aspetti fondativi di un genere della popular music greca noto come Éntechno laikó traghoudi («canzone popolare d’arte»).[1] Si tratta di un genere di canzone che ha dominato la scena musicale e, più in generale, la vita culturale in Grecia a partire dai primissimi anni Sessanta e i cui meccanismi di formazione presentano punti di contatto significativi con il modello della chanson francese e, più specificatamente, con l’attività degli auteurs-compositeurs-interprètes (ACI): un elemento che caratterizza e contraddistingue l’éntechno laikó traghoudi (d’ora in poi abbreviato in éntechno, come nel suo uso comune) all’interno del panorama della canzone europea e internazionale.

Il presente lavoro si basa su una ricerca condotta su fonti bibliografiche in lingua inglese e greca[2] e alcune fonti audio-visive.[3] Nonostante il genere éntechno mostri linee di sviluppo fino ai nostri giorni, esso risulta sotto-indagato rispetto ad altri generi musicali, anche negli studi di popular music greca. In particolare, la letteratura esistente offre pochi contributi scientifici che ne diano una visione diacronica. La maggior parte degli studi si focalizza sull’attività, la poetica e la biografia dei due compositori, come vedremo, maggiormente coinvolti nella formazione di questo genere di canzone: Mikis Theodorakis e Manos Hadjidakis (Holst 1980, Giannaris 1972, Papandreou 1993, Andreopoulos 2001, Mouyis 2010). Tra le eccezioni vanno segnalati un saggio dei musicologi Franco Fabbri e Ioannis Tsioulakis (2016), alcuni contributi, di prossima pubblicazione, contenuti nel volume Made in Greece, a cura di Dafni Tragaki[4] e uno studio di Dimitris Papanikolaou (2007) dedicato specificatamente alla comparazione di questo genere con la tradizione della canzone francese.

Genesi dell’éntechno laikó traghoudi

Il genere éntechno nasce in Grecia tra la seconda metà degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta principalmente per iniziativa di due compositori di formazione colta: Mikis Theodorakis (1925-) – certamente una delle figure di musicista greco più nota internazionalmente[5] – e Manos Hadjidakis (1925-1994), anch’egli autore di canzoni, opere strumentali sinfoniche e da camera e colonne sonore.[6] La letteratura critica è solita definire questo periodo della canzone e della popular music greca come «la storia di due compositori» (Papandreou 1993). Attraverso un’esplicita adesione alla funzione discorsiva dei «cantautori popular come autori» – un aspetto che caratterizza l’emergere degli ACI in Francia – l’attività di Theodorakis e Hadjidakis, condotta attraverso la composizione di opere ma anche mediante interventi pubblici, porterà non soltanto alla formazione del genere éntechno ma anche alla definizione del musicista-compositore popular come autore (Papanikolaon 2007, p. xii). È in questo senso che si può affermare che i due compositori acquisirono in Grecia una rilevanza culturale pari a quella di Leo Ferré, George Brassens e Jacques Brel in Francia.

I due autori-compositori greci iniziarono la loro attività con l’aspirazione a intraprendere una carriera nell’ambito della musica «colta» per poi, progressivamente, proporre una visione della cultura popolare in dialogo con la cultura «alta», attraverso la forma canzone e un recupero sistematico di alcuni generi musicali del passato. In questo modo essi svilupparono una politica musicale capace di ridefinire nel giro di qualche anno l’intero sistema della popular music greca.

Sono principalmente due gli elementi di connessione con il modello degli ACI e in questo articolo essi verranno analizzati a partire da un’analisi di Epitáphios (1958-60), opera composta da Theodorakis su versi del poeta greco Yannis Ritsos (1909-1990) e unanimemente riconosciuta come episodio chiave nella formazione dell’éntechno.

Il primo elemento è dato dal legame con la poesia. L’idea di mettere in musica testi poetici e letterari preesistenti è l’aspetto forse più evidente del rapporto con il modello della canzone francese della rive gauche e degli ACI (in particolare Brassens, Ferré, Vian). Theodorakis e Hadjidakis adattarono in musica poemi noti del canone greco collaborando, inoltre, in modo sinergico con poeti che scrissero testi per le loro canzoni. Questa strategia non è molto dissimile da quella adottata da alcuni ACI in Francia nello stesso periodo, sebbene sia Theodorakis sia Hadjidakis esprimano il punto di vista di compositori di formazione «colta».

Il secondo elemento è dato dal rapporto con la tradizione e i generi di canzone del passato. In particolare il progetto dei due compositori greci si realizza attraverso la valorizzazione di un genere tradizionale di canzone greca nota con il nome di rebetico e, più precisamente, nella forma stilizzata di intrattenimento popolare. Benché il rebetico, negli ultimi anni anche in Italia, sia stato oggetto di attenzione culturale,[7] si rende necessario un accenno ai caratteri principali di questo genere soffermandosi sugli elementi di complessità che stanno dietro al suo recupero e all’appropriazione da parte di Theodorakis e Hadkidakis nella formazione dell’éntechno.

Prima dell’éntechno: il rebetico

Con il termine rebetico si designa un genere di canzone popolare urbana le cui origini risalgono alla fine dell’Ottocento in Anatolia – dove possono essere rintracciati i primi usi di questo termine – ma che emerge in Grecia in seguito a quella che i greci definiscono katastrofí («catastrofe», 1922-23), coincidente con la sconfitta nella guerra contro i turchi (1919-23). Un evento chiave della storia greca, che portò alla fuga e alla deportazione forzata da Smirne e dalla Turchia di circa un milione e mezzo di greci, che trovarono rifugio negli insediamenti intorno alle grandi città, in particolare Atene e Salonicco.

I discorsi prevalenti sul rebetico[8] tendono a considerare questo genere come il risultato di un amalgama della tradizione musicale portata dai rifugiati – eseguita da interpreti che erano già cantanti professionisti nei café di Smirne e Istanbul (come Rosa Eskenazy e Antonis Diamantidis), stilisticamente molto diversa da quella della Grecia continentale e per questo anche definita smyrnaika («di Smirne») – con la sottocultura, anche musicale, dei mánghes (lett: «scugnizzi», «delinquenti» o, anche, «tosti») e dei rebétes, ossia di quel mondo marginale già presente nei sobborghi delle grandi città greche.

In questo senso si assiste a una prima fase costituita dalla diffusione della tradizione musicale dei café di Smirne (i cosiddetti café aman) – che a sua volta riprendeva la musica dei margini che a fine Ottocento circolava a Costantinopoli e Smirne ed era tipicamente eseguita con strumenti non temperati (come violino, lyra, kanún, ud) – cui segue, negli anni Trenta, l’affermarsi di uno stile conosciuto come «scuola del Pireo», basato sull’uso preminente del bouzouki e del baglamás, strumenti oggi considerati della tradizione greca ma anch’essi di origine turca.[9] Conway Morris (1980) ha definito questa fase «teké style», a partire dal nome dei locali in cui, contestualmente al consumo di alcool e hashish, questa musica veniva principalmente eseguita e fruita.

L’emergere dell’industria musicale in Grecia tra gli anni Venti e Trenta e il crescente interesse di alcune compagnie discografiche europee e americane promuove e favorisce la diffusione di questo genere che, nel periodo 1929-36, vive la sua «età d’oro». In questi anni, tuttavia, il rebetico subisce anche una doppia censura: da un lato quella istituzionale di impronta fascista – specie durante il regime dittatoriale di Ioannis Metaxás (1936-40) – che considerava il rebetico uno stile musicale non genuinamente greco e legato alle classi emarginate (Pappas 1999, Pennanen 2003); dall’altro, l’ostilità era espressa dalla sinistra progressista e comunista che identificava nel rebetico un’espressione del sottoproletariato (lumpenproletariat) e, quindi, una musica non soggettivamente d’opposizione (Gauntlett 2001, Panagiotopoulos 1996).

A partire dagli anni Quaranta, in particolare con la fine della Seconda Guerra Mondiale, il rebetico si trasforma indirizzandosi verso un pubblico più ampio e perdendo progressivamente quella connotazione sottoculturale che, negli anni precedenti, lo associava all’intrattenimento delle classi più povere. Promosso commercialmente dall’industria discografica il «nuovo» rebetico si istituzionalizza come forma di intrattenimento interclassista adattandosi alle nuove forme (e format discografici) di diffusione e acquisendo crescente popolarità mediante il rapporto con i mezzi di comunicazione di massa e la vita urbana e industriale. Un processo con significative conseguenze dal punto di vista testuale, formale, stilistico e di costruzione del sound. [10]

In quella che, secondo una periodizzazione unanimemente riconosciuta tra gli studiosi, viene definita terza e conclusiva fase, il rebetico – con i suoi protagonisti, cantanti e suonatori di bouzouki, spesso idolatrati come «star» – si trova a sintetizzare e rappresentare una tradizione popolare secolare e complessa.[11]

È a questo rebetico «rinnovato» che guardano due compositori di formazione accademica come Hadjidakis e Theodorakis, in un processo di sintesi con la musica «colta» e all’interno di un programma culturale che ambiva a definire definisse una nuova scuola nazionale greca. Il collegamento con questa forma di rebetico, infatti, risultava congeniale per la creazione di una tradizione di canzone che si distinguesse dal folk-tradizionale (rappresentato in Grecia dal genere dimotikó)[12] ma fosse contraddistinta in senso nazionale, permettendo di mediare un programma culturale «alto» con un pubblico popolare. Un processo che si potrebbe definire di «concettualizzazione positiva del popolare» (Papanikolaou 2007, p. 57) e che rappresenta un punto cruciale nella Grecia del dopoguerra.

Dal rebetico all’éntechno

Dal punto di vista storico si possono individuare due momenti cronologici fondamentali nella genesi dell’éntechno. Significativamente, entrambi hanno Theodorakis e Hadjidakis come protagonisti, e al centro il comune interesse per il rebetico quale elemento «popolare» di un progetto musicale più ampio.

Il primo di questi momenti coincide con un discorso pubblico tenuto nel 1949 da Hadjidakis e incentrato sul riconoscimento del rebetico come forma artistica dal valore paragonabile a quello degli altri generi di canzone tradizionale. Individuando nel rebetico la continuazione della tradizione bizantina e l’essenza della «grecità», in questa storica conferenza, Hadjidakis definisce il rebetico come «l’anima pura della tradizione musicale greca».[13]

Inserendosi in un contesto storico di trasformazione sociale e culturale successivo alla Seconda Guerra Mondiale e alla Guerra Civile Greca (1946-49),[14] questo primo elogio da parte di un compositore membro dell’élite intellettuale ateniese viene canonizzato come un punto di svolta nella percezione pubblica del rebetico, e del bouzouki come strumento musicale adatto a rappresentarlo. Nel caso di Hadjidakis, l’apprezzamento e il recupero del rebetico si inscrive all’interno dell’estetica del modernismo greco e, quindi, come tentativo di proiettare nel dominio dell’arte «alta» elementi della cultura «bassa»: un riferimento esplicito ai poeti della cosiddetta «Generazione degli anni Trenta» – capeggiata da Odysseus Elytis (1911-1996), Giorgos Seferis (1900-1971) e Nikos Gatsos (1911-1992) – e al loro progetto di muovere dall’apprezzamento convenzionale per le tradizioni folcloriche verso un’idea di popolare inteso come popular, ossia come cultura quotidiana compromessa con l’intrattenimento e la produzione massificata, in una mescolanza apparentemente incoerente di materiali e stili (Fabbri 2014, p. 28; Papanikolaou 2007, pp. 68-69).

Hadjidakis promuove il suo progetto attraverso discorsi pubblici ma, soprattutto, attraverso la produzione di opere musicali di elevata e riconoscibile «qualità». Tra queste, va menzionata l’incisione di Exi Laikés Zographiés (Sei Immagini Popolari, 1959), una suite di brani per pianoforte che raccoglie trascrizioni di sei canzoni di autori rappresentativi del rebetico. Nelle scelte compositive e stilistiche operate da Hadjidakis si delinea l’intenzione di differenziarsi nettamente dalla tendenza spettacolare e dall’uso preminente del bouzouki che caratterizza l’ultima fase del rebetico a partire dagli anni Cinquanta e che Hadjidakis percepisce come un «tradimento» del genere stesso. Un aspetto che differenzia nettamente il suo approccio da quello di Theodorakis.

Il secondo episodio chiave nella formazione del genere éntechno è rappresentato dall’uscita, nel 1960, di un ciclo di canzoni denominato Epitáphios, basate su un poema omonimo del poeta Yannis Ritsos e composte da Theodorakis. Quest’opera – unanimemente attestata come momento di svolta non soltanto nella produzione di canzone ma, più in generale, nella popular music greca – viene pubblicata in due incisioni discografiche: la prima con l’orchestrazione di Hadjidakis, la seconda a opera dello stesso Theodorakis. La compresenza di due versioni profondamente diverse dal punto di vista stilistico e dell’interpretazione vocale innesca un dibattito pubblico sul valore estetico del rebetico, sul ruolo di questo genere quale paradigma nella costruzione di una «autentica» identità musicale greca e sulla legittimità delle diverse forme di appropriazione.

La retorica di Hadjidakis aveva fino a quel momento riguardato la tradizione del primo rebetico degli anni Trenta, che egli considerava di maggior interesse e qualitativamente migliore dal punto di vista musicale. Al contrario Theodorakis focalizzò gran parte della sua attenzione sul testo poetico (Zografou e Pateraki 2007, p. 121) adottando esteticamente il sound delle registrazioni di fine anni Cinquanta. Sebbene Hadjidakis avesse preceduto Theodorakis di almeno una decina d’anni nel processo di rivalutazione del rebetico, sarà quest’ultimo a elevare questo genere quale elemento cardine nella genesi dell’éntechno. Inoltre, nel caso di Theodorakis, questa scelta si connota con un forte significato politico.

Mikis Theodorakis, il soggiorno parigino e l’idea di Meλοποιmenh Πoihσh (“la poesia messa in musica”)

La vicenda di Epitáphios permette di sottolineare un aspetto di collegamento con la coeva produzione degli ACI generalmente sottovalutato dalla critica ufficiale. La composizione di quest’opera, infatti, avviene nell’anno in cui Theodorakis decide di ritornare in Grecia dopo un soggiorno formativo di cinque anni a Parigi. A metà degli anni Cinquanta Theodorakis aveva ricevuto una borsa di studio dal Conservatorio di Parigi, perfezionandosi in composizione e direzione con Olivier Messiaen e Eugene Bigot. I maggiori resoconti biografici (Holst 1980, Giannaris 1972, Wagner 2000) incentrano il racconto di questi anni parigini sul rapporto del compositore, allora poco più che trentenne, con il mondo delle avanguardie musicali del tempo. Theodorakis giunge a Parigi l’anno in cui Pierre Boulez compone Le Marteau sans maître (1955) e in cui infervora il dibattito culturale ed estetico intorno al serialismo. In effetti questi anni costituiscono un’occasione unica, per un compositore nato in Grecia, di formazione e confronto con le problematiche estetiche della musica d’avanguardia: un’opportunità che Theodorakis condivide con l’amico, collega e compatriota Yannis Xenakis (1922-2001).

Si tratta, tuttavia, di un’esperienza che porta Theodorakis ad affrancarsi progressivamente dal pensiero e dalle tecniche musicali d’avanguardia. Alle ragioni di ordine estetico – una predilezione per le composizioni di Stravinskij e Bartók (Thedorakis 1972, cit. in Holst 1980, p. 39) – si aggiunge la volontà del compositore di superare lo iato tra gli ideali artistici dell’avanguardia e il gusto medio delle masse, un aspetto che egli considera centrale nelle sue composizioni. In questo senso, Theodorakis rimane colpito dalla reazione positiva del pubblico all’ascolto di Antigone (1958), balletto che gli era valso un premio al Covent Garden e la cui ouverture era costituita da un lamento corale basato su un materiale melodico della tradizione greco-bizantina.

Così, pur ricevendo diversi riconoscimenti pubblici in ambito europeo, nel 1959 Theodorakis ritorna in Grecia animato dal progetto di «tornare alle origini», nella convinzione di dare il proprio contributo al dibattito sul carattere della scuola musicale greca divisa in quel periodo tra le creazioni di Xenakis da un lato e il recupero della musica tradizionale in forma di concerto dall’altro.[15] Nel concretizzare il suo progetto, Theodorakis non ricorre, tuttavia, alle forme compositive che lo avevano coinvolto fino a quel momento e avevano costituito la sua formazione musicale – la musica sinfonica – bensì in quelle della canzone e, significativamente, in unione con la poesia.

L‘esperienza parigina deve aver costituito un fattore cruciale per l’elaborazione di un simile progetto, destinato a rivoluzionare il futuro della popular music greca. Non si può, infatti, non evidenziare un rapporto con ciò che stava avvenendo in Francia in quel periodo. Leo Ferré (1916-1993) nel 1957 aveva registrato un intero disco su versi di Charles Baudelaire (Les Fleurs du mal, Odeon) e nello stesso anno aveva inciso Chanson du mal aimé (composta nel 1952-53), opera per quattro voci soliste, coro e orchestra basate su un poema di Guillaume Apollinaire (1880-1918); più in generale, occorre ricordare che quasi ogni registrazione di Leo Ferré o di George Brassens di quel periodo conteneva almeno una poesia messa in musica. I mezzi effettivi che il compositore greco avrebbe utilizzato sarebbero stati diversi ma l’idea di mettere in musica testi di natura poetica guardava nella stessa direzione di quella proposta dagli ACI. Inoltre, la scelta stessa di un poema che rinviasse al tema dell’eroe e martire socialista, in una forma che imitava la canzone tradizionale, risultava prossima alla prima poésie populaire francese (Papanikolaou 2007, p. 83).

L’insieme di questi aspetti – curiosamente ignorati dalla critica ufficiale – devono essere, al contrario, evidenziati: Theodorakis elabora il suo programma alla fine del soggiorno formativo a Parigi negli stessi anni in cui l’emergere degli auteurs-compositeurs-interprètes e la pratica di mettere in musica la poesia letteraria poneva le basi per la nascita del fenomeno dei cantautori in Europa.

Combinando gli stili della musica popolare con i versi della poesia ufficiale Theodorakis rivitalizzò un profondo legame tra poesia e canzone popolare presente nella tradizione greca ma profondamente segnata dal punto di vista della differenziazione di classe o legata alla secolare pratica bizantina di trasformare in inni ortodossi la poesia liturgica.[16] Fu l’articolazione di questo elemento in un contesto stilistico e produttivo popular a farne una vera e propria rivoluzione culturale.

L’aspirazione a comporre una musica dal carattere nazionale a partire da un recupero «non folkloristico» delle forme popolari spinse il compositore a ricercare un linguaggio musicale che, da un lato potesse essere compreso da un pubblico più ampio possibile e, dall’altro, contenesse elementi della cultura «alta». Se il primo aspetto, come vedremo nel dettaglio, coincide con il recupero e l’appropriazione di elementi propri del rebetico, il secondo viene ottenuto attraverso la creazione di uno stile riconoscibile che egli stesso definì «metasinfonico» (Theodorakis 2003, p. 82): uno stile ottenuto combinando le tecniche di scrittura corale e sinfonica con quelle della canzone popolare e, al tempo stesso, realizzato inserendo strumenti greci tradizionali (come il bouzouki o il baglamás) all’interno dell’orchestra sinfonica occidentale, quindi mantenendosi all’interno di uno «status classico» (Karageorgis 2001).[17]

L’éntechno laikó traghoudi (la «canzone popolare d’arte») racchiude nell’espressione ibrida l’intento di coniugare una qualità culturale «alta» con le forme popolari di produzione e fruizione. Un progetto – definito anche melopimeni poiisi («la poesia messa in musica») – non distante dal concetto gramsciano di nazional-popolare e dal programma di avvicinamento delle masse alla cultura «alta» e, al contempo, degli intellettuali al «popolo», inteso nell’accezione di «popolo-nazione» (Tragaki 2005). L’adozione della forma del concerto classico come strumento di diffusione di questa musica, altro elemento specifico e innovativo, va considerata in questa direzione.

Occorre, in questo senso, considerare la collocazione di questo progetto nello specifico contesto culturale e politico greco del periodo: le canzoni composte da Theodorakis furono eseguite nei primi anni Sessanta in concerti-evento e in questo modo adottate dai giovani della sinistra comunista greca quale repertorio di protesta e propaganda politica. Come sottolineato da Giannaris (1972) si tratta di una forma di performance e promozione della musica che si distanzia nettamente dalle forme tradizionali di performance del rebetico, maggiormente legate ai luoghi (taverne o nightclub) o al broadcasting delle radio e che si configura propriamente come «concerto pop». Lo stesso Theodorakis ha sostenuto che, al tempo, «non esisteva questa forma di concerto popolare» (Theodorakis 2003, cit. in Mouyiai 2005, p. 38) e che essa doveva servire come «nuovo mezzo di comunicazione attraverso un contatto diretto con le masse» (Giannaris 1972).

Non soltanto il concerto-evento permise di costruire un immaginario sociale e politico, ma si configurò come strumento concreto di resistenza contro la censura di Stato vigente, in forme diverse, già prima della dittatura dei colonnelli (1967-74). Quando Epitáphios fu censurato e la sua diffusione proibita nelle radio e nei juke-box, Theodorakis reagì a queste azioni a tutti i livelli: con dichiarazioni, articoli, proteste, nuove canzoni, e, soprattutto, mediante questa forma di «concerto popolare».

Epitáphios (1958-60): il centro di una controversia musicale, culturale e politica

Nel 1958, mentre si trova ancora a Parigi, Theodorakis riceve dal poeta Yannis Ritsos la versione definitiva del poema Epitáphios. Si tratta di un ciclo di poesie – suddivise in venti Canti[18] – scritte e pubblicate in una prima versione già nel 1936 e ispirate a un evento chiave della storia sociale e politica greca, la repressione nel sangue di uno sciopero dei lavoratori del tabacco avvenuto a Salonicco nel maggio di quello stesso anno.[19] Yannis Ritsos aveva composto i versi mosso, in particolare, da una foto pubblicata il giorno successivo dal quotidiano comunista Ritzospastis, ritraente una madre vestita di nero in lacrime sul corpo del proprio figlio ucciso in strada dai colpi della polizia (immagine 1). Con il titolo Epitáphios il poeta intendeva evocare il tradizionale lamento funebre legato alla funzione del Venerdì Santo (Epitáphios Trinos), uno dei momenti più solenni della liturgia ortodossa greca – il lamento funebre liturgico della Vergine Maria e di altre donne a lutto sulla tomba del Cristo crocefisso – invitando esplicitamente a compararlo con il lamento di questa madre. In questo modo Ritsos ambiva anche a raggiungere il più ampio pubblico possibile dal momento che Epitáphios Trinos non soltanto risulta universalmente conosciuto ai greci di ogni età, genere, classe sociale e inclinazione politica, ma si trova cristallizzato nella memoria collettiva per il rituale coreografico al quale è collegato: il lamento viene eseguito durante un rito liturgico in cui i fedeli portano simbolicamente delle candele rosse (che rappresentano il sangue di Cristo) e seguono il feretro (l’epitaphios) in una processione al di fuori e intorno alla chiesa.

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Immagine 1: La foto scattata a Salonicco nel 1936 che spinse Yannis Ritsos a scrivere il poema Epitáphios.

Il poema, pubblicato in una prima edizione a ridosso degli eventi con una dedica ai lavoratori di Salonicco, venne immediatamente perseguito dal regime di Metaxas (1936-40), una dittatura militare che si instaurerà proprio nelle settimane successive a questi eventi: il regime bandì il poema e le ultime duecentocinquanta copie disponibili ad Atene furono bruciate di fronte al Tempio di Zeus di Olimpia.

Scrive, a questo proposito, Holst-Warhaft:

Utilizzando sia l’immaginario del lamento popolare, sia il lamento della Vergine per il suo figlio morto e chiamando il suo poema Epitáphios, Ritsos aveva già attinto all’immaginario greco popolare in un modo che aveva sconcertato il pubblico. Egli rimase fiero tutta la vita per il fatto che il poema fu pubblicamente bruciato da Metaxas e rimase bandito per un tempo maggiore di qualsiasi altra opera della storia della letteratura moderna greca. (Holst-Warhaft 2002 cit. in Mouyis 2010, p. 28)

La carica simbolico-politica, i temi e le immagini evocate e la struttura stessa del poema di Ritsos offrirono a Theodorakis l’opportunità di dare forma, attraverso un’opera musicale concreta, al programma di «tornare alle origini».

L’idea di selezionare otto poesie dall’intero poema di Ritsos col fine di metterle in musica costituiva già di per sé un fatto innovativo. A rendere quest’opera cruciale e oggetto di un dibattito e di una controversia destinata a incidere profondamente negli sviluppi della musica e della cultura greca, si aggiunse il fatto che la pubblicazione avvenne, quasi contemporaneamente, in due diverse incisioni discografiche: la prima, pubblicata dall’etichetta Fidelity nell’agosto 1960, orchestrata da Hadjidakis e interpretata dalla cantante professionista Nana Mouskouri (1934-); la seconda, pubblicata da Columbia nel settembre dello stesso anno, diretta e orchestrata da Theodorakis e caratterizzata dalla presenza preminente del bouzouki e della voce di Grigoris Bithikotsis (1922-2005), un cantante popolare del genere rebetico che Theodorakis aveva conosciuto negli anni Quaranta durante un periodo di internamento a Makronissos.

La compresenza di due diverse incisioni discografiche si lega all’iniziale, ma netto, rifiuto dei membri dell’orchestra della radio di Atene di presentarsi in sala di incisione accanto a un suonatore di bouzouki e un «cantante di nightclub» (Giannaris 1972, p. 130).[20] La scelta di questa voce – che Theodorakis considerava come risorsa musicale per la composizione stessa – suscitò un’altra obiezione, di tipo estetico, che infiammò il dibattito nei circoli intellettuali e culturali di Atene: la resa dei versi della poesia canonica ufficiale attraverso lo stile vocale di Bihikotsis venne in alcuni casi considerata un autentico oltraggio, spesso anche da parte di critici politicamente affini a Theodorakis (Giannaris 1972, p. 118; Holst 1980, p. 45; Wagner 1995, pp. 117-29).[21]

In questo contesto Fidelity, una delle maggiori case discografiche operanti ad Atene, propose ad Hadjidakis – a quel tempo il compositore più popolare, con un successo commerciale e un’influenza nell’industria musicale – di realizzare una diversa orchestrazione. Hadjidakis scelse un organico più convenzionale, limitando la presenza del bouzouki e affidando la parte principale alla voce, educata e raffinata, di Nana Mouskouri. Il secondo passo in questa vicenda fu, quindi, dettato dalle politiche delle compagnie discografiche: la Columbia, concorrente di Fidelity, decise, infatti, di produrre una versione con l’orchestrazione ideata da Theodorakis. La pratica di produrre due versioni discografiche praticamente coeve era diffusa nelle incisioni commerciali degli anni Quaranta-Sessanta in Grecia, dove le compagnie erano solite pubblicare le proprie versioni di canzoni di successo anche pochi giorni dopo la prima incisione. Nel caso di Epitáphios, tuttavia, questa strategia commerciale porterà con sé ben più ampie conseguenze, contribuendo a una ridefinizione delle categorie non soltanto estetiche ma identitarie e sociali esistenti.

Epitáphios: osservazioni di carattere analitico-musicale[22]

Intorno all’opera Epitáphios si condensano diversi aspetti di innovazione. In questa parte ci soffermeremo sugli elementi innovativi dal punto musicale, intesi sia in senso compositivo sia produttivo/performativo. È a quest’ultimo livello, infatti, che l’incisione di Theodorakis (EMI Columbia 33GS3),[23] realizzata per voce, bouzouki e pianoforte, si differenzia dalla versione di Hadjidakis (Fidelity EP 8910/8911), basata su un organico, vocale e strumentale, più convenzionale per il tempo. Le seguenti osservazioni analitiche permettono di illustrare alcuni aspetti di questa differenziazione.

Nel considerare, da un punto di vista compositivo e di costruzione del sound le registrazioni di Epitaphios, occorre tener conto dei processi che coinvolgono la popular music greca nel periodo immediatamente precedente. In particolare, come sottolineato da Pennanen (1997; 1999; 2005), si tratta di processi di modernizzazione e non di mera occidentalizzazione.[24] A questi aspetti occorre aggiungere l’impatto delle tecnologie di registrazione e i loro effetti sulle tecniche di esecuzione e del sound di incisione (Ordoulidis 2012, pp. 79-93).

A livello compositivo, Theodorakis decide di aderire all’immaginario tradizionale cui attinge il poema attraverso l’utilizzo di materiale melodico tratto dalla funzione liturgica del Venerdì Santo (Epitaphios Trinos): diverse canzoni del ciclo si basano su frammenti di inni bizantini o ne incorporano elementi strutturali essenziali.[25] La scrittura melodica del canto ecclesiastico-bizantino si trova, tuttavia, combinata con materiale melodico e forme riprese dal repertorio tradizionale rurale (dimotikó) e rebetico (Giannaris 1972; Holst Warhaft 1980; 2002).

In riferimento al rebetico l’intero ciclo di canzoni ne incorpora alcuni elementi caratteristici quali: a) utilizzo di ritmi tipici dell’hasápiko[26] e dello zeibékiko,[27] entrambe danze del repertorio rebetico ma originarie dell’Asia Minore; b) gli effetti di dialogo tra la voce e il bouzouki; c) una scrittura vocale che favorisce un’interpretazione ricca di inflessioni tonali. In definitiva, dal punto di vista strettamente compositivo, le melodie e i ritmi di Epitáphios sono il risultato della fusione di una varietà di fonti e identità musicali greche che convergono verso un unico stile.

Per quanto riguarda la dimensione performativa vanno sottolineati due aspetti. Il primo riguarda la scelta, già evidenziata, della voce di Bithikotsis: una voce dal timbro aspro, estranea ai canoni della musica «d’arte», connotata in senso popolare. Proprio attraverso l’opera di Theodorakis questa voce diventò una metafora musicale della λεβεντιά greca, una combinazione di orgoglio e dignità che «caratterizza il popolo greco» (Theodorakis 1986, p. 179, cit. in Tragaki 2005, p. 63).

Il secondo aspetto si lega all’esplicita intenzione di Theodorakis di ricorrere al sound proprio del genere laikó e rebetico di fine anni Cinquanta, una musica sviluppata e promossa nella società greca come «intrattenimento da night club»[28] e caratterizzata dall’utilizzo di ensembles amplificati (Pennanen 1997, p. 67). Questo aspetto si configura, in particolare, in relazione al trattamento del suono del bouzouki, uno strumento che, proprio in quegli anni e ad opera del musicista virtuoso Manolis Hiotis (1921-1970)[29] – che significativamente incide tutte le tracce di Epitáphios – aveva subito sostanziali trasformazioni dal punto di vista organologico, delle tecniche esecutive e nell’uso dell’amplificazione: l’aggiunta di un coro (corda doppia di metallo),[30] l’impiego di una nuova accordatura più vicina a quella della chitarra[31] e l’utilizzo di pick up posti in corrispondenza della buca in modo da ottenere una microfonazione molto riverberata e permettere incisioni con largo uso di eco.[32]

L’insieme di queste trasformazioni strutturali e sonore avevano avuto effetti fondamentali anche sul prestigio sociale dello strumento, legandosi a profondi cambiamenti nella società greca, alle nuove necessità della crescente classe media, ai nuovi ambienti e contesti di fruizione e al ruolo sempre più spettacolare richiesto ai virtuosi di bouzouki. Questo nuovo strumento così amplificato, infatti, non soltanto rispondeva alle esigenze di luoghi acustici più ampi ma permetteva rapidi passaggi e un uso frequente di abbellimenti ed effetti di glissando che ne caratterizzeranno, di lì in avanti, lo stile esecutivo, incontrando una domanda di virtuosismo modellata su quella degli strumenti classici occidentali (ibidem).

La versione discografica di Theodorakis è chiaramente modellata su questo nuovo immaginario sonoro legato all’ascesa socio-culturale del bouzouki. Un aspetto che aveva portato anche a cambiamenti nella prossemica e nell’organizzazione spaziale degli ensembles di bouzouki che, enfatizzando il prestigio del solista, spesso posto in piedi davanti al resto del gruppo e accanto al/alla cantante, riflettevano un’influenza delle pratiche occidentali (Pennanen 1999, pp. 153-55).

Nell’incisione di Theodorakis il bouzouki, registrato con un largo uso di eco e missato in modo da risultare in primo piano accanto alla voce principale, introduce, per la prima volta, un suono popular in un contesto di musica – e cultura – «alta». Questo elemento del sound – che di lì a poco verrà riarticolato all’interno di un contesto stilistico «metasinfonico» – oltre a caratterizzare il risultato complessivo, può contribuire a spiegarne il successo rispetto alla versione arrangiata e orchestrata da Hadjidakis.

In definitiva, come evidenziato anche da Papanikolaou (2007, pp. 96-97), la retorica dell’apprezzamento per il rebetico e le forme popolari come momento originario dell’espressione popolare «autentica» si accompagna, nel caso di Theodorakis, a un modo di produzione che, da un punto di vista tecnico e commerciale, si relaziona fin da subito con le regole promosse dall’industria discografica confrontandosi con le tecniche di incisione e gli stili della coeva cultura di massa.[33] L’incisione di Theodorakis, pur attirando critiche da parte del mondo intellettuale ateniese, rispondeva ai gusti maggioritari utilizzando le tecniche di uno stile di rebetico e laikò che era diventato familiare al grande pubblico e alla borghesia greca.

Dal punto di vista musicale, quindi, è la combinazione di una voce come quella di Bithikotsis e lo stile esecutivo di Hiotis (immaginario sonoro di fine anni Cinquanta) insieme ad aspetti compositivi – come l’uso di fonti melodiche e ritmiche tratte dalla liturgia bizantina e dal rebetico (immaginario tradizionale) – che trasformò quello che poteva essere semplicemente un ciclo di canzoni d’arte in un successo da juke-box (Holst 1980, p. 65).[34]

Questi aspetta emergono anche dalla comparazione tra le copertine dei due dischi al momento della loro pubblicazione. Nella prima incisione di Hadjidakis per la Fidelity (immagine 2a) viene utilizzato un dipinto raffigurante un’immagine stilizzata (probabilmente la figura della madre con le braccia protese in aria), quasi sicuramente opera del pittore greco Yannis Moralis (1916-2009), esponente della «generazione dei Trenta» e illustratore di altri dischi del compositore. Nella prima incisione di Theodorakis per la Columbia (immagine 2b), invece, troviamo la fotografia dei tre musicisti-interpreti principali (Theodorakis, Bithikotis e Hiotis), intorno al pianoforte apparentemente intenti a eseguire un brano.

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Immagine 2a e 2b: Comparazione tra le copertine delle prime due incisioni di Epitáphios: quella di Hadjidakis (Fidelity EP 8910/8911) e quella di Theodorakis (EMI Columbia 33GS3).

La terza incisione di Theodorakis, pubblicata nel 1963 e caratterizzata dall’inserimento di un accompagnamento d’archi, vedrà in copertina l’immagine delle due star del momento (Manolis Hiotis e Mary Linda), adeguandosi ancor più agli standard discografici del genere laikó incentrate sulla popolarità degli interpreti (immagine 3).

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Immagine 3: Copertina del disco Epitáphios, pubblicata nel 1963.

Που πέταξε τ’ αγόρι μου (Pou petaxe t’agorimou)

Nella canzone di apertura dell’album – Pou petaxe t’agorimou («Dov’è volato il mio ragazzo») – Theodorakis utilizza come base per la composizione il nucleo melodico di un lamento funebre della tradizione popolare: si tratta, in particolare, di uno dei canti monodici eseguiti a cappella durante la veglia funebre, tipico della regione del Mani.[35] A livello di scrittura melodica ritroviamo alcuni elementi caratteristici, quali la combinazione tra note ripetute e le tre note discendenti a intervalli di terza minore (immagine 4).

Il testo della canzone è ripreso dal Canto I (primo distico) e dal Canto VIII (secondo e terzo distico) del poema di Ritsos. La componente musicale assolve una funzione di organizzazione formale segmentando il testo cantato in quattro quartine secondo l’alternanza strofa-ritornello; brevi passaggi virtuosistici del bouzouki, oltre che a dialogare con la voce, intervengono a suggellare la fine di ogni verso.

La struttura del brano nell’incisione di Theodorakis prevede una introduzione interamente affidata al bouzouki (fino a 00:17), che interviene anche con un solo nell’intermezzo strumentale (da 01:35 a 01:52), e la presentazione di quattro strofe in quartine, di cui quella contenente il titolo è ripetuta identica. Il testo è cantato da Grigoris Bithikotsis e, nelle ripetizioni di intere strofe o singoli distici, viene accompagnato in duo dalle cantanti Katy Thymi e da Mary Linda.

Immagine 4: Trascrizione «Που πέταξε τ’ αγόρι μου» (00:00 – 01:01) 

L’aspetto dell’orchestrazione che marca dal punto di vista stilistico le due versioni discografiche è dato, principalmente, dalla presenza dominante del bouzouki, sia come strumento solistico sia in ensemble (Theodorakis), in sostituzione del mandolino (Hadjidakis). La traccia del bouzouki principale è mixata in modo da risultare sempre esposta in primo piano mentre una seconda traccia di bouzouki emerge dall’accompagnamento ritmico, mixata più bassa e proiettata sullo sfondo, creando un effetto di dialogo «a distanza» col bouzouki principale. Fin dall’introduzione – e specie nella sua riproposizione come intermezzo tra l’esposizione delle strofe – si possono rintracciare gli elementi del virtuosismo «da night club» del genere rebetico e laikó di metà anni Cinquanta, con largo uso di glissandi estranei agli stili precedenti, e frequenti abbellimenti della melodia con trilli e tremoli, amplificati dalle tecniche di incisione e dalla presenza di un suono sostenuto e profondo. Alcuni di questi elementi possono essere resi in trascrizione per mezzo di figure ritmiche, simboli e segni di effetto (immagine 4).

Il sound e lo stile del bouzouki influenza anche la dimensione ritmica del brano conferendo elasticità e movimento a un accompagnamento ritmico statico modellato sul ritmo dell’hasápiko. La presenza di un’accentuazione costante sul battere di ogni beat, in opposizione alla quale si configura l’andamento della voce e del bouzouki, costituisce un chiaro rinvio allo stile rebetico del primo periodo (Stamatis 2011, pp. 180-183): un riferimento assente nell’incisione di Hadjidakis, dove l’arrangiamento rivela, al contrario, un approccio orientato ad «alleggerire» l’ostinato ritmico agendo sull’orchestrazione. Nella versione di Theodorakis, invece, lo stile esecutivo del bouzouki e gli effetti di portamento del ritmo conferiscono un carattere quasi «ballabile» alla musica.

Μέρα Μαγιού moy miσεψσεσ  (Mera Maiou mou misepses)

La terza canzone dell’album, forse la più rappresentativa dell’intero ciclo, è incentrata sulla vicenda drammatica che aveva costituito l’ispirazione del poema di Ritsos (Canto VI). Da un punto di vista stilistico essa costituisce un raffinato esempio di canzone di Theodorakis influenzata dalle forme del rebetico. Essa, infatti, è scritta nel metro additivo tipico dello zeibékiko, una forma di danza tipica metricamente corrispondente a un 9/4 lento e suddiviso 4/4 + 5/4.[36] Questo elemento si relaziona alla modalità con cui Theodorakis intese e presentò la propria versione del lavoro: non come una differente interpretazione del rebetico ma come la versione più vicina alla sua «essenza originale», riuscendo in tal modo a valorizzare la sua musica come «espressione non mediata delle masse». In diversi scritti Theodorakis (1986, cit. in Holst 1980, p. 67) offre un resoconto dettagliato ma al tempo stesso «mitico» dell’appropriazione dello zeibékiko, quasi non si trattasse di una scelta consapevole di tipo filologico e metrico[37] ma di un’ispirazione diretta proveniente «dalla cultura popolare stessa».

Dall’analisi della registrazione emergono, tuttavia, aspetti che rendono poco plausibili queste dichiarazioni.

Dal punto di vista strutturale vi è un’introduzione (fino a 0:35) affidata al bouzouki in uno stile caratterizzato dalla presenza di effetti di glissando e un largo uso di tremolo, posto non soltanto su note di lunga durata ma anche all’interno dell’arco melodico. Questa sezione «lirica» introduttiva si trova già impostata sul metro additivo, le cui pulsazioni di base – a valori lunghi – sono esposte da accordi al pianoforte. La fine di questo solo coincide con una rapida scala discendente (00:35) su cui si innesta la voce, l’accompagnamento scandito sul ritmo dello zeimbekiko e il bouzouki che risponde a ciascuna frase melodica con dei patterns tradizionali elaborati. L’introduzione viene ripetuta come intermezzo (01:40 – 02:15) in modo da creare una separazione tra l’esposizione dei due distici del testo, il cui ultimo verso è sempre ritornellato. L’immagine 5 propone una trascrizione dell’accompagnamento ritmico e del profilo melodico della voce.

Secondo i modelli metrico-ritmici proposti da Ordoulidis (2011b; 2012) lo zeibékiko di «Mera Maiou mou misepses» rientra nella categoria del «nuovo zeimbekiko», ossia un tipo di zeibekiko «misto», caratterizzato da un pattern di accompagnamento stratificato, il cui uso diventò dominante nelle incisioni laikó tra il 1957 e il 1962.[38] Dalla trascrizione nell’immagine 5 si può notare la differenza con cui vengono scandite dal pianoforte le prime tre battute (corrispondenti ai primi cinque versi) e l’ultima battuta (ripetuta due volte e corrispondente all’ultimo verso). Il groove risultante è stratificato ma al tempo stesso reso compatto dall’ostinato tipico del baglamás. Inoltre, l’intreccio è reso ancora più articolato in quanto, alla parte ritmica appena descritta del pianoforte si sovrappone una parte di contrabbasso chiaramente modellata sul modello «antico» di zeimbekiko.

Un ulteriore elemento che emerge dalla trascrizione riguarda la scrittura della parte vocale. Sebbene, in relazione al contesto musicale e compositivo del brano, non si possa affermare un utilizzo concreto del sistema modale dei dhromi greci,[39] il comportamento melodico della voce presenta tracce della struttura intervallare di due elementi principali: bouselik e hitzáz (Siciliano 2014, p. 63). Secondo le indicazioni di Ordoulidis (2011b, p. 5) il riferimento a quest’ultimo dhromos potrebbe essere letto come un richiamo, mediato dal nuovo contesto sonoro e musicale, alla tradizione bizantina.

Immagine 5: Trascrizione «Μέρα Μαγιού moύ miσεψσες» (00:35-01:40).

Conclusioni

Epitáphios costituirà parte del repertorio della resistenza al «Regime dei Colonnelli», una dittatura militare che, tra i numerosi soprusi e angherie, sancirà, per Decreto dello Stato Maggiore dell’Esercito, la censura di tutte le canzoni di Theodorakis proibendone anche il semplice ascolto.[40]

Nel 1974, in seguito alla caduta della dittatura, la «poesia messa in forma di canzone» rivivrà un momento di popolarità legato anche al ritorno dall’esilio o dai luoghi di prigionia dei suoi protagonisti, acclamati come eroi ed eroine a esibirsi in concerti-evento. Accanto all’éntechno tradizionale si svilupperanno altre e diverse forme fino agli anni Ottanta, periodo in cui si assisterà a una vera e propria rivoluzione estetica del genere. Ancora oggi l’éntechno, nonostante il momento di grave difficoltà economica e sociale, resta uno dei generi più popolari in Grecia, radunando migliaia di persone in piazza per concerti sempre più poveri di mezzi.

La ragione di questa popolarità si lega al ruolo che le canzoni hanno avuto fin dalle origini, come si è cercato qui di descrivere. Il principio cardine dell’éntechno degli anni Sessanta, quella «popolarizzazione» della poesia come momento comunitario e formativo, rivive nei processi di produzione e fruizione contemporanea. Se da un lato i testi delle canzoni sono basati su poesie del canone ufficiale – o spesso ne incorporano elementi sostanziali – è anche vero che questi testi circolano, vengono conosciuti e cantati nei contesti sociali più diversi, dal concerto alla festa di comunità. Esiste, in questo senso, una particolare valenza sociale e politica della canzone in Grecia: qui si concretizza quel fatto apparentemente naturale per cui, al di là del grado di politicizzazione dei testi, la canzone assume una forza rivendicativa nel momento in cui viene cantata collettivamente. Un atteggiamento che riverbera nelle danze e nelle musiche e che coinvolge positivamente. È questa, anche, la lezione da cogliere della Grecia contemporanea.

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Nuit sans lune. Rebetiko et musiques populaires grecques. 2001. Regia di Luc Bongrand, Les Films du Village, Mezzo, Histoire, Cannes TV, ERT, 54 mins.

Ta traghoudia tis Fotiàs. 1975. Regia di Nikos Koundoros, Finos Film, 110 mins.

[1] La traduzione letterale del termine éntechno laikó traghoudi corrisponde a «canzone popolare artistica». Focalizzando l’attenzione sul termine laikó («popolare») va detto che il suo significato è una questione aperta anche tra i musicologi greci. Sebbene il termine si presti linguisticamente a essere tradotto come «tradizionale» (nell’accezione che gli anglofoni danno al termine «folk», ossia musica non scritta ma tramandata oralmente) nel caso in questione è evidente che laikó debba essere piuttosto inteso in riferimento al significato del termine inglese popular. Il genere di canzone in oggetto, infatti, è prodotto da autori professionisti riconoscibili (sia delle musiche che dei testi) e, specie nella sua prima fase, è musica scritta, seppur diffusa in un circuito propriamente di massa, in un processo che vede un coinvolgimento diretto dell’industria discografica e dell’intrattenimento. Da notare che, negli anni del dopoguerra, il termine laikó fu anche utilizzato per indicare uno specifico genere di canzone urbana greca che, pur incorporando elementi stilistici tradizionali, venne inteso, specie a partire dalla metà degli anni Cinquanta come la «canzone popular». Per un approfondimento si veda Pennanen (1997, p. 67), Gauntlett (1982/3, pp. 91-92) e Manuel (1990, p. 127).

[2] In relazione all’utilizzo delle fonti in lingua greca, ma anche per i preziosi consigli e suggerimenti, ringrazio la dott.ssa Athanasia Kavelara (Atene). Tra le poche fonti in lingua italiana sul genere éntechno vanno segnalati: a) le informazioni contenute nella sezione “Grecia” del sito <www.antiwarsong.org> (ultimo accesso 20.10.2015) a cura di Riccardo Venturi e Giampiero Testa; e b) un articolo divulgativo di Franco Fabbri (2014). Ringrazio Franco Fabbri, fonte costante e sostegno di una passione, teorica e pratica, comune.

[3] Si vedano, in particolare, il film-documentario Ta traghoudia tis Fotiàs, di Nikos Koundoros (1975) e Nuit sans lune. Rebetiko et musiques populaires grecques di Luc Bongrand (2001).

[4] Tragaki (di prossima pubblicazione). Si veda, in particolare, Varelopoulos (di prossima pubblicazione).

[5] La notorietà internazionale di Mikis Theodorakis si lega alla composizione della colonna sonora del film Zorba il greco (1964) e, in particolare, del brano strumentale noto come «sirtaki» o «Danza di Zorba», di cui, nel 1965, venne proposto un adattamento (con aggiunta di testo italiano) da parte della cantante e attrice Dalida. Negli anni successivi Theodorakis collaborerà con Iva Zanicchi per l’album Caro Theodorakis… Iva (1970) e con Milva, per l’album La mia età (1979) che riceve il “disco d’oro” in Germania (in seguito verrà inciso anche in francese e italiano).

[6] La notorietà di Hadjidakis si lega ai successi commerciali della sua giovinezza, in particolare le canzoni composte per la cantante greca Nana Mouskouri e il riconoscimento internazionale ottenuto in seguito al Premio Oscar – come migliore canzone – che riceve nel 1960 per un brano contenuto nella colonna sonora per il film di Jules Dassin Poté tin Kiriakí (uscito in Italia lo stesso anno con il titolo Mai di domenica). Nel 1970 Hadjidakis, che si trova a Roma per lavorare come compositore di colonne sonore, è maestro di Nicola Piovani e questa influenza si può ritrovare, a livello compositivo e di arrangiamento, nelle produzioni di Fabrizio De André di cui Piovani risulta co-autore.

[7] Il riferimento, in particolare, è al lavoro discografico – e al tour di presentazione dell’album – di Vinicio Capossela, Rebetico Gymnastas (La Cupa, Warner Music 2012) a cui ha fatto seguito il film documentario di Andrea Segre e Vinicio Capossela, Indebito (2013).

[9] Secondo la ragionata ricostruzione di Pennanen il bouzouki si origina dall’ellenistico pandura (liuto a manico lungo, con tre corde e piccola cassa di risonanza), ma ritorna in Grecia in una forma, con un nome, un’accordatura e tecniche di esecuzione turche. Si veda Pennanen (1999, pp. 119-203) ma anche Maliaras (2014, p. 326). Si potrebbe parlare, in questo senso, di un processo di «mandolinizzazione del saz turco» (essendo quest’ultimo dal manico lungo benché caratterizzato da una tastatura microtonale).

[10] Alcuni autori identificano in questo passaggio la conversione dal rebetico agli stili identificati con il termine laikó (popolare) e rappresentati dall’influente figura di Vasílis Tsitsánis (1915-84).

[11] Il rebetico di questo periodo si pone in netto contrasto con la tradizione convenzionalmente proposta dal nazionalismo greco, allineata ai canoni della narrazione dell’eredità ellenica antica, offrendo, al tempo stesso, una soluzione di mediazione con l’elemento interno/orientale (Zografou e Pateraki 2007, pp. 120-121).

[12] Dimotikó è un termine comunemente utilizzato per descrivere la canzone tradizionale associata alle aree rurali. Dimotikó traghoudi può anche incidentalmente essere utilizzato col significato «canzone folk» in senso generico anche se, in questo caso, è maggiormente utilizzato il termine paradosiako traghoudi («canzone tradizionale») il quale implica la percezione di un’eredità musicale atavica. Sul genere dimotikó e paradosiako si vedano, in particolare, Magrini (1993) e Kallimpoulou (2009).

[13] Il testo completo di questa storica lettura di Hadjidakis si trova in Liavas (2009; pp. 254-258). Per una lettura critica e un’analisi dei suoi effetti nel processo di costruzione di un’identità musicale nazionale si veda Maliaras (2014).

[14] Per un approfondimento relativo alle vicende storico-politiche che fecero della Grecia uno dei primi terreni di scontro della Guerra Fredda, si veda, in italiano, Calamati (2014).

[15] Si tratta della tendenza della scuola nazionale rappresentata dal compositore Manolis Kalomiris e modellata sull’estetica tardo-romantica mitteleuropea, cfr. Papanikolaou (2007), Kostantinidis (2014). Nel 1960 Theodorakis redige e firma, insieme a Xenakis e altri importanti compositori greci – ma con la rilevante assenza di Hadjidakis – un «Manifesto per una riorganizzazione della musica greca» invocando lo studio della musica bizantina all’interno di una ristrutturazione complessiva del sistema educativo e di istruzione musicale. Una traduzione in inglese del testo completo, apparso sulla rivista Kritiki, si trova in Giannaris (1972, pp. 294-298). Sull’assenza di Hadjidakis dall’elenco dei firmatari si vedano Giannaris (1973, pp. 115-116) e Holst (1980, p. 44)

[16] Da notare che pratiche simili furono promosse all’interno della tradizione ottocentesca di ballate e canti kléftici, nati in opposizione alla dominazione turco-ottomana (Leydi [1989/90] 2004, pp. 35-37).

[17] Tra le opere più significative di Theodorakis composte in questo stile si possono menzionare: Epiphania (su poesie di Giorgos Seferis), Mikrés Kyklades e Axion Esti (su poesie di Odysseas Elytis), Mauthausen (su poesie di Iakovos Kambanellis), Romiossini (su poesie di Yannis Ritsos) e Romancero Gitano (su liriche di Federico García Lorca).

[18] Più precisamente: 324 versi divisi in venti stanze (Canti) di otto distici ciascuna ad eccezione delle ultime due stanze, che contengono nove distici ciascuna (Newton 1986, p. 5).

[19] Nel maggio del 1936, nel porto greco di Salonicco, vi fu uno sciopero dei lavoratori del tabacco che paralizzò la comunicazione interna ed esterna. Durante un corteo di protesta la polizia aprì il fuoco sui manifestanti e in pochi minuti morirono trenta persone e circa trecento vennero ferite. Su questa vicenda si veda, tra gli altri, Giannaris (1972).

[20] Le vicissitudini di Epitaphios riguardarono anche la prima esecuzione pubblica quando, superate le rimostranze dell’orchestra, si palesò un blocco emotivo di Bithikotsis, estraneo al contesto del «concerto classico». A quel punto, riportano le cronache (Holst 1980; Giannaris 1972) Theodorakis abbandonò il ruolo di direttore agendo come solista. Significativamente, alla fine del concerto. Hadjidakis salì sul palcoscenico e suonò una delle canzoni al pianoforte.

[21] Nelle intenzioni di Theodorakis, questa voce risultava adatta a rappresentare la sofferenza della madre narrata nel poema, appartenendo a un uomo che aveva subito sofferenze in vita durante la Guerra Civile (Giannaris 1972, p. 131). Al tempo stesso, il tipo di voce e la tendenza di Bithikotsis a creare piccole inflessioni tonali durante l’esecuzione, ne faceva per così dire, la «quintessenza» dello stile rebetico, rappresentando «il suono del tempo» che, specie nelle sue espressioni live, era ancora fortemente legato a questo tipo di vocalità.

[22] In questa sede ci limiteremo a riportare alcune osservazioni riguardanti, principalmente, la costruzione del sound, elemento che differenzia nettamente le prime due incisioni di Epitáphios. Lo studio analitico costituisce una rilettura critica delle analisi contenute in Holst (1980) e Papanikolaou (2007) ed è stato condotto alla luce di altri contributi di natura musicologica: Pennanen (1997; 1999; 2004); Ortoulidis (2011a; 2011b; 2012-13), Stamatis (2011) e Siciliano (2014). Le analisi sono state condotte con l’ausilio di trascrizioni personali, a partire da incisioni originali (LP 33 giri) riversate su file wave. Riguardo al testo poetico, ci si è avvalsi della traduzione a cura di Gian Piero Testa, consultabile alla pagina dedicata sul sito <http://www.antiwarsongs.org> (ultimo accesso 20.10.2015).

[23] Il numero di catalogo fa riferimento alla pubblicazione in LP datata 1964. La prima pubblicazione (medesima incisione, 1960) avvenne in formato 45 giri con la denominazione Columbia SCDG 2778, SCDG 2779, SCDG 2780, SCDG 2781.

[24] Pennanen rinvia alla definizione di modernizzazione di Bruno Nettl (1985, cit. in Penannen 1999, pp. 7-8), descritta come «il movimento incidentale di un sistema o di alcune sue componenti nella direzione della musica e della vita musicale occidentale, senza che questo comporti cambiamenti di rilievo in quegli aspetti della tradizione non occidentale che sono centrali ed essenziali». Pennanen analizza anche il processo di orientalizzazione (Pennanen 1997, pp. 69-72), che non sarà trattato in questa sede.

[25] Secondo Holst (1980, p. 60) questo aspetto caratterizza, più in generale, lo stile di Theodorakis dal punto di vista della scrittura melodica.

[26] L’hasápiko è una danza in metro binario (2/4), tipica dello stile rebetico, proveniente dall’Asia Minore e originariamente definita la «danza della corporazione dei macellai» di Costantinopoli. A differenza dello zeibékiko, l’hasápiko ha passi codificati. Per un approfondimento in lingua italiana si veda Petropoulos (2013, pp. 88-89).

[27] Con il termine zeibekiko si suole indicare nel genere rebetico un ballo solistico proveniente dall’Asia Minore, una danza individuale senza passi codificati dove le figure, le inclinazioni, le curve, i piccoli salti e le giravolte liberamente disegnate dal danzatore sul ritmo della musica acquistano un ruolo preminente. Il metro di questa danza è 9/4 o 9/8 suddiviso in modo asimmetrico (3 gruppi da 2 e l’ultimo gruppo di 3 suddivisioni). Per un approfondimento in lingua italiana si veda Petropoulos (2013, pp. 86-87) e Leydi ([1989-90] 2004, p. 93)

[28] Pao sta bouzoukia («andare al bouzouki») diventò un’espressione comune per intendere di recarsi al nightclub (Rentsos 2011).

[29] Manolis Hiotis è stato un pioniere nell’uso dell’amplificazione nella popular music greca a partire dagli anni Cinquanta fino agli anni Settanta. Fu il primo musicista ad Atene a utilizzare la chitarra elettrica e un virtuoso il cui stile, oltre ad essere imitato, ha acquisito una dimensione quasi mitica (Pennanen 1999, pp. 30-35, 55-69).

[30] Vi sono diverse datazioni che vanno dal 1953 al 1958. Tuttavia, «Thessaloniki mou» (1956, testo di Stélios Kazantzídis) sembra costituire la prima registrazione con un bouzouki a quattro cori (Pennanen 1999, p. 140).

[31] Questa intonazione rispecchiava, infatti, gli stessi rapporti di intervallo delle prime quattro corde della chitarra, strumento quest’ultimo che era stato utilizzato in funzione melodica nel rebetico già a inizio anni Trenta (a imitazione del bouzouki ma anche in altri stili). Nel tipo di bouzouki precedente, invece, i cori (corde doppie) erano intonati secondo diverse accordature, la più diffusa delle quali era in Re a intervalli di quinta e quarta (ReRe’ – LaLa – Re’Re’).

[32] Alcune fonti indicano chiaramente che l’utilizzo di una certa amplificazione – e conseguentemente di uno stile vicino alla chitarra elettrica – fu una delle novità introdotte da Hiotis di ritorno dal suo primo viaggio in USA tra il 1957 e il 1958 (Ordoulidis 2012, p. 67). Dal punto di vista della microfonazione, a partire da fine anni Cinquanta, i virtuosi di bouzouki cominciarono a utilizzare dei pick-up di fabbricazione germanica, come gli Ideal, che richiedevano una buca più ampia. Un aspetto dell’evoluzione dello strumento che si riflette nel design della buca (Pennanen 1999, pp. 144-145). Per un raffronto a livello del sound si consideri l’incisione di Manolis Hiotis e Mary Linda (Maria Dimitropoulou) di «Laos Kai Kolonaki» (1958), presente anche nell’omonima commedia cinematografica greca (regia di Yannis Dalianidis, produzione 1959).

[33] Papanikolaou (2007, pp. 96-97) prosegue sottolineando la congiuntura di questo cambiamento artistico e culturale in un momento di espansione dell’industria e del mercato musicale, in cui il mercato stesso si trovava alla ricerca di strategie per promuovere il nuovo formato da 33 giri (e l’acquisto di nuovi sistemi di riproduzione del suono).

[34] All’immaginario sonoro di fine anni Cinquanta si legano, non a caso, le due maggiori «hit» internazionali greche degli anni Sessanta – «Ta Pediá tou Pireá» di Hadjidakis e il «Syrtaki» o «Danza di Zorba» di Theodorakis – le quali si inseriscono in un processo, più generale, di costruzione di un immaginario da «cartolina turistica» destinato, di lì a poco, a emergere globalmente.

[35] La regione del Mani (Maina), tra le più aride della Grecia meridionale, occupa la penisola centrale delle tre che si estendono verso Sud dal Peloponneso. La comunità che vi è insediata prende il nome di Manioti (Maniátes) ed è nota per una lunga storia di autonomia e di forte attaccamento a tradizioni che il sentimento comunitario riconduce alla permanenza dell’elemento dorico nell’ethos locale, testimoniato anche da alcune peculiarità dialettali. Per un approfondimento del rito liturgico da un punto di vista antropologico si veda Seremetakis (1991).

[36] Da notare che quattro canzoni su otto dell’intero ciclo sono scritte in questa forma metrica e, secondo i resoconti, questo si deve a un apporto creativo del bouzoukista Hiotis, essendo Theodorakis inizialmente maggiormente affascinato dalla forma dell’hasápiko (Holst 1980, p. 67).

[37] Il metro dello zeibékiko si conforma perfettamente allo statuto metrico del pentametro giambico del poema di Ritsos, il cui utilizzo costituisce, a sua volta, un’allusione intertestuale al lamento popolare.

[38] Si veda il grafico riportato da Ordoulidis (2012/13, p. 206) riguardante la produzione di un autore rappresentativo come Vasilis Tzitzánis.

[39] I dhromi (letteralmente «strade», «vie») costituiscono il sistema modale utilizzato dai musicisti e dai compositori nella musica popolare e popular greca, dal rebetico all’éntechno contemporaneo. Come sottolineato anche da Siciliano (2014) non si tratta di un mero sistema scalare ma di un complesso sistema di sequenze e specifici fraseggi che orientano la composizione di un brano o l’improvvisazione. In questo senso, come molti sistemi scalari extraoccidentali, i dhromi costituiscono anche un modo di comunicazione tra i musicisti. Questo codice trae origine dal linguaggio modale del makam turco, benché al tempo stesso se ne distanzi, in alcuni casi significativamente, e sia stato trasmesso nel tempo oralmente. Nonostante, specie negli ultimi anni, vi siano stati diversi tentativi di sistematizzazione, come sottolineato dagli studi di Pennanen (in particolare, 1999) e Ordoulidis (2011b e 2012, p. 100 e sgg.), non esiste un accordo unanime sull’origine e l’utilizzo dei dhromi greci. In questa parte si farà riferimento alla nomenclatura proposta da Siciliano in riferimento ai dhromi utilizzati nel rebetico (2014).

[40] Theodorakis stesso verrà imprigionato nel 1967 e, in seguito a una mobilitazione internazionale di solidarietà, esiliato a Parigi nel 1970.