«Vita spericolata»: un film, un sogno, un’illusione

Luca Marconi

lucammarconi@libero.it

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ABSTRACT

Questo scritto analizzerà «Vita spericolata» di Vasco Rossi, dedicando particolare attenzione alla musica fornita da Tullio Ferro per questo brano e all’arrangiamento della prima versione discografica di questa canzone, guidato dai suoi produttori Guido Elmi e Maurizio Biancani: ci si concentrerà in particolare sulla loro espressività e sulle relazioni intertestuali con altri brani. La riflessione sul loro rapporto con i significati delle parole cantate in questo pezzo condurrà a una disamina del suo ruolo nell’ambito della popular music italiana degli anni Ottanta.

«Mentre tutto il coro dei media ci grida che il mondo va bene ed è bellissimo […] a esprimere lo spirito del tempo devono pensarci i cantanti» (Bonifaci 1993, p. 60)

«Vita spericolata»,[1] che al momento della stesura di questo scritto occupa il secondo posto nella “All time chart”[2] italiana, preceduta solo da «Questo piccolo grande amore», ha giocato un ruolo tutt’altro che trascurabile nel panorama della nostra popular music degli anni Ottanta: basti ricordare che Vasco Rossi, prima di questa canzone, con la quale ha gareggiato per la seconda e ultima volta al festival di Sanremo (giungendo penultimo), era un artista di culto solo in un’area geografica piuttosto ristretta[3] e per una schiera non molto ampia di appassionati di rock rude e chiassoso che lo apprezzavano anche cantato nella nostra lingua; come è ben noto, a farlo diventare una delle più influenti icone pop[4] italiane dell’epoca è stato assai determinante il singolo che la conteneva, entrato in classifica all’indomani dell’esibizione sanremese e rimasto in alta quota (giungendo fino al terzo posto) per 23 settimane; questo singolo ha venduto in otto mesi più di 300.000 copie,[5] alle quali si è aggiunto più di un milione di copie vendute, a partire dall’aprile del 1983, dall’album nel quale è stato inserito, Bollicine, sesto di Vasco, il cui successo è stato di gran lunga maggiore rispetto ai precedenti, risultando uno dei più acquistati in Italia quell’anno.[6]

A chi, preso atto di questi fenomeni, vuole capire da quali relazioni nell’ambito della popular music coeva siano stati determinati, quanto è stato finora scritto su questa canzone fornisce alcuni spunti meritevoli d’attenzione, ma risulta tutt’altro che sufficiente.

Assai spesso si riportano le principali testimonianze del cantante sulla genesi del brano, secondo le quali la sua musica è stata fornita, come in altri casi coevi, da Tullio Ferro in una versione per voce e chitarra registrata su cassetta cantata in un misto di inglese e grammelot,[7] mentre le parole sono state trovate da Vasco, durante una sfortunata tournée in Sardegna durante l’agosto del 1982, dopo aver visto lo stadio deserto sotto la pioggia dove si sarebbe dovuto tenere un suo concerto cancellato a causa delle avverse condizioni atmosferiche.

Alcune acute annotazioni sulla forma dell’espressione di quelle parole sono state fornite da Giuseppe Antonelli: oltre a indicare «Vita spericolata» come uno dei primi testi, insieme a «Vado al massimo» dell’anno prima, che hanno portato a Sanremo un nuovo codice della canzone italiana – «liberato (sia pur momentaneamente) dalle incrostazioni del vecchio canzonettese e arricchito (sia pur moderatamente) dalla grammatica ermetica e dalla grammatica del parlato» (Antonelli 2010, p. 236) – egli ne sintetizza le caratteristiche definendola «un brano apparentemente trasgressivo ma linguisticamente stereotipico, col suo ossessivo verso puntello (“voglio una vita”), con la sua mescolanza di che polivalenti […] e di zeppe a fine verso (“che se ne frega di tutto, sì”), di anglicismi in rima […] e di gergalismi in tema» (Ibid.).

È sul loro contenuto che si è maggiormente concentrata l’attenzione di chi ha riflettuto sulla fortuna di questo brano, spiegandola come una risultante del fatto che le sue parole esprimono «una summa della poetica del Blasco e del suo popolo» (Monina 2006, p. 91): voglia di esagerare[8] nell’immanenza del presente, esaltazione di scelte autonome, avventurose e rischiose, preferite ad altre più “educate”, adozione di un edonismo individualistico «votato con passione al godimento sfrenato» (Alfieri e Talanca 2012, p. 87) rimosso dal perbenismo borghese e dalle ideologie di sinistra degli anni settanta, speranza di poter vivere nel futuro momenti di complicità[9] con chi condivide questi disvalori,[10] nonostante ci si senta «ognuno col suo viaggio, ognuno diverso, ognuno in fondo perso dietro i fatti suoi», minati dal timore di un domani noioso e solitario.

Contenuti simili sono però espressi dalle parole di numerose canzoni di Vasco precedenti: ne troviamo un concentrato soprattutto in «Anima fragile», «Siamo solo noi», «La noia» e «Vado al massimo»;[11] e quest’ultima si era già avvalsa dell’imponente cassa di risonanza fornita in quell’epoca dal festival di Sanremo.

L’ipotesi che fonda questo scritto è, allora, che il favore di un pubblico di «giovani e trentenni» (Giachetti 1999, p. 53) molto più ampio di quello che seguiva Vasco nei primi anni Ottanta sia stato conquistato dal significato non solo delle parole cantate in «Vita spericolata», ma della loro unione con la musica fornita da Ferro e con l’arrangiamento confezionato per la sua presentazione discografica: è quest’ultimo significato, finora poco indagato negli scritti su questo brano, che si cercherà di individuare in questa sede, ricavandolo da rilevamenti analitici sul testo sonoro pubblicato nel 1983.

Una musica stimolante[12]

Una prima caratteristica sulla quale conviene soffermarsi, che si può ipotizzare fosse già rinvenibile nel materiale “grezzo” fornito da Tullio Ferro, consiste nel contrasto di espressività tra la prima sezione cantata (nella prima versione pubblicata, da 0:18 a 0:52), e la seconda (da 0:53 a 1.23); la prima può essere considerata come la successione dei primi due chorus, così come l’altra funziona come il suo bridge, ma nelle tabelle 1[13] e 2[14] e nel prosieguo di questo saggio, per approfondire il confronto con canzoni con altre strutture formali, verranno chiamate “sezione A” e “sezione B”.

Questo contrasto, che, in uno dei rari casi nei quali viene evidenziato da chi ha descritto il brano, è stato presentato come un aspetto «che rende a tratti epica e a tratti amara ogni dichiarazione» (Giachetti e Peroni 2005, p. 73), è determinato soprattutto da 3 fattori:

  1. la sezione A (ascoltabile al termine dell’esempio 1) comincia ripetendo tre volte un loop[15] di quattro accordi che inizia con una cadenza finale (IV-V-I), seguendo dunque «il senso predominante dell’armonia classica in direzione verso la chiusura» (Tagg 2009, p. 129), con un movimento che, rispetto al circolo delle quinte, risulta antiorario (ibidem), con una direzione che culmina nella cadenza perfetta V-I; inoltre, all’accordo conclusivo di questa cadenza viene aggiunta, dopo la sua apparizione come triade, una settima che lo trasforma in una quadriade di prima specie, che risolve nell’accordo da questa implicata, con la fondamentale posta una quarta sopra (che fa ripartire il loop riproponendosi come sottodominante della tonalità d’impianto)[16] con un ulteriore passaggio antiorario, progressivo; invece, la sezione B inizia con due passaggi accordali successivi (in progressione discendente a distanza di una terza maggiore), ascoltabili al termine dell’esempio 2, nei quali le fondamentali degli accordi si muovono per quarte giuste discendenti (corrispondenti a due quinte giuste ascendenti), regredendo in senso orario nel circolo delle quinte;

esempi sonori 1 e 2

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Figura 1: Codice QR per accedere, da smartphone, al link <http://bit.ly/marconi-vitaspericolata> contenente tutti gli esempi audiovisivi.

  1. la sezione A instaura un modo maggiore (con il do come tonica), mentre la sezione B, che inizia con la tonicizzazione del sesto grado di tale modo e con un loop di accordi con le stesse funzioni tonali (i-v-VI-III) dell’inizio dell’aria da camera Sì dolce è ’l tormento[17] di Monteverdi, enuncia un modo eolio (che ha come finalis il la);
  2. la melodia cantata della sezione A, in linea col suo accompagnamento con cadenze finali in modo maggiore, ha un’espressività affettiva poco marcata (e dunque ‘epica’): inizia con la successione di tre unità (a1, a2 e a3 nella Tabella 1; FIG. 2) in ciascuna delle quali si sente la discesa, ascoltabile nell’esempio 3, da una corda di recita[18] sul sesto grado della tonalità implicata a una sul suo quinto grado (analoga a quella che si sente in corrispondenza delle prime parole cantate in «Emozioni», incisa da Lucio Battisti nel 1970), seguita da una discesa cadenzale che termina sulla tonica; l’ultima unità in essa presente (b) all’inizio è prevalentemente sul quarto grado, poi sale con due seconde maggiori al sesto e infine si chiude con un’ultima discesa cadenzale che raggiunge la tonica; nella sezione B, invece, viene più volte ripetuta la seconda minore discendente che collega il terzo e il secondo grado del modo eolio implicato, utilizzando dunque un intervallo che spesso è stato usato per contribuire a fornire un carattere ‘amaro’ al contesto nel quale si inserisce; come viene mostrato nell’esempio 4, lo si trova in un passaggio nel modo eolio, nell’intonazione della parola “tormento” nel brano sopra citato di Monteverdi, mentre due esempi analoghi in modo minore si trovano quando vengono cantati i primi versi di altri due brani del diciassettesimo secolo: il lamento di Didone «When I Am Laid in Earth» di Purcell (in corrispondenza con la parola “laid”), la cui melodia comincia con gli stessi gradi usati da Vasco (1 – 2 – 3 – 2), e «I Saw My Lady Weep» di Dowland (in corrispondenza con la parola “saw”, poco dopo la quale si sente un’altra seconda minore nell’intonazione della parola “lady”); nei repertori più frequentati da Ferro e Vasco, tre esempi con espressività affine con la seconda minore che scende da un terzo grado di un modo eolio (accompagnato da un accordo minore con la fondamentale sul primo grado, come quello usato da Vasco per cantare l’ultima sillaba di “incontreremo”) al suo secondo grado (accompagnato da un accordo minore con la fondamentale sul quinto grado, come quello usato per cantare la prima sillaba di “come”) intonano le parole «I’m sad» in «Song for the Asking» di Simon & Garfunkel (pubblicata nel gennaio del 1970), «notte» in «Emozioni» di Battisti (pubblicata nell’ottobre di quell’anno) e «something breaks» in «Grapefruit Moon» di Tom Waits (pubblicata nel 1973).

esempi sonori 3 e 4

Un ulteriore contributo all’espressività dolente della sezione B viene fornito nel suo finale (in corrispondenza con l’unità melodica indicata con la lettera e nella Tabella 1) quando, dopo un accordo di fa maggiore (con la funzione di sottodominante della tonalità implicata) sul quale viene cantata una melodia con la discesa do-si-la-sol-fa, ne segue uno di fa minore sopra il quale la melodia precedente viene ripetuta con il si e il la abbassati di un semitono. Ne consegue un immalinconimento dell’espressività (mostrato nell’esempio 5) affine a quello, risultante dallo stesso tipo di passaggio accordale, percepibile in molte altre canzoni precedenti, quali «I’ll Follow the Sun» e «In my Life» dei Beatles, «My Way» di Sinatra o «Desperado» degli Eagles, e anche in due brani con parole e atmosfere musicali dolenti già presenti nel songbook di Vasco: «Canzone» e «Ogni volta».[19]

esempio sonoro 5

Nella terza sezione cantata, da 1:24 a 1:59 (A’ nella tabella 1), le melodie a1 e a2 si ripresentano pressoché identiche; nel terzo segmento melodico (a3v nella tabella 1), dopo la terza discesa della corda di recita dal sesto al quinto grado, mentre l’accompagnamento continua a riproporre per la terza volta il proprio loop, la voce realizza un’ascesa che esprime un grande impeto energetico, raggiungendo prima la tonica un’ottava sopra quella che concludeva le discese cadenzali precedenti (come viene mostrato nell’esempio 6), poi il quinto grado ad essa superiore (come è mostrato nell’esempio 7), e poi di nuovo, con un ritorno cadenzale, tale tonica superiore; il quarto e ultimo segmento melodico (f nella tabella 1), invece, tocca dapprima una nota una quarta sopra quella tonica, poi, come mostra l’esempio 8, raggiunge il culmine delle melodie cantate fino a quel punto, sul sesto grado, concludendo infine un’ottava sopra i finali di a1 e a2.

esempi sonori 6 ,7, 8

Inizia poi la quarta sezione cantata (B’ da 1:59 a 2:29), che ripropone lo stesso percorso armonico di B, risultando quindi “regressiva” e più malinconica di A e A’. Nella melodia, si inverte ciò che avveniva in A’: rispetto alla sezione simile precedente è identico non l’inizio, ma il finale, mentre la melodia iniziale (dv) ripropone quella equivalente di B una terza sopra, adattandosi alla scala implicata: le seconde minori vengono così sostituite da seconde maggiori meno malinconiche, mentre viene mantenuta l’espressione di un forte impeto energetico avvertibile nella parte finale di A’.

Al termine di B’ inizia la quinta sezione cantata (A’’ da 2:30 a 3:04), la prima nella quale si sentono due linee omoritmiche che presentano melodie diverse; come mostra l’esempio 9, mentre l’accompagnamento ripropone il percorso armonico di A e A’, nella fase finale di a1v viene aggiunta una seconda voce di Vasco che raddoppia l’altra una terza sopra, dopodiché tale raddoppio scompare in a2v e a3v2, ciascuna con un finale sospensivo, mentre nella conclusiva[20] gcont la seconda voce di Vasco ricompare ripetendo più volte la settima dell’accordo di dominante della cadenza finale implicata, creando una forte tensione dissonante con l’altra voce, che viene risolta quando le due voci tornano ad essere a distanza di terza, in corrispondenza con la risoluzione finale sull’accordo di tonica, facendo così sentire tale cadenza come più conclusiva di tutte quelle sentite in precedenza.

esempio sonoro 9

L’impressione che questa cadenza finale (ascoltabile nell’esempio 10) costituisca la conclusione non solo di A’’, ma della macrosezione comprendente tutte e 5 le sezioni cantate ascoltate fino ad allora, che al termine del brano risulterà come la prima delle due parti nelle quali esso si articola, viene poi rafforzata dal fatto che, dopo tale cadenza finale, invece dell’accordo “progressivo” di sol maggiore, si trova un accordo di fa minore che, proponendo più volte col successivo do maggiore una cadenza plagale, viene a formare una spola affine a quella I-I+ in do maggiore presente nell’introduzione, della quale verrà considerata l’espressività più avanti in questo saggio.

Un percorso che ne ricorda altri

Dopo aver analizzato alcuni elementi della versione presente nel singolo di «Vita spericolata» che è assai probabile fossero rinvenibili anche nella versione “originale” fornita da Tullio Ferro, per considerare cosa tali elementi potessero comunicare al pubblico italiano del 1983 (e, in primo luogo, allo stesso Vasco Rossi), ci si concentrerà su di una successione di accordi individuabile, oltre che nella macrosezione che contiene le sezioni A, B, A’, B’ e A’’ di questa canzone, in diversi brani precedenti.

Essa ha le seguenti caratteristiche:

  • la sezione iniziale (spesso articolata in due chorus uguali o simili tra loro), in modo maggiore, è costituita totalmente o in gran parte da accordi maggiori;
  • la seconda sezione, diversa espressivamente dalla prima, è aperta da un accordo minore la cui fondamentale funziona sia come sesto grado del modo maggiore instaurato precedentemente che come tonica di un modo eolio (o minore) posto una terza minore sotto quel modo maggiore; come viene mostrato nell’esempio 11, si sente così un allontanamento dalla meta del percorso tonale implicato all’inizio del brano; a tale accordo ne segue poi un altro minore la cui fondamentale viene raggiunta regredendo in senso orario nel circolo delle quinte;

esempio sonoro 11

  • la sezione conclusiva contiene prevalentemente degli accordi maggiori e si conclude con una cadenza finale nel modo maggiore implicato dalla sezione iniziale;
  • in alcuni casi, dopo la seconda sezione e prima dell’ultima ci sono una terza sezione simile a quella iniziale e una quarta sezione, meno conclusiva della quinta e simile alla seconda.

Grazie a tali caratteristiche, questa successione di accordi assume un’espressività che la rende capace di evocare un percorso così descrivibile:

  • il suo inizio non è marcato affettivamente;
  • la sua seconda sezione ha un inizio più dolente e una fase iniziale di crisi dovuta all’allontanamento da quanto viene desiderato, in grado di evocare ricordi malinconici e/o nostalgici (come viene mostrato nell’esempio 12);

esempio sonoro 12

  • il suo finale è meno malinconico rispetto alla seconda sezione, con il superamento della crisi da questa implicata;
  • in alcuni casi, sono presenti una terza sezione meno dolente della seconda e una quarta sezione, meno conclusiva della quinta, nuovamente malinconica e/o nostalgica.

Nella tabella 2 viene presentato un elenco di brani dotati della successione di accordi qui delineata pubblicati prima di «Vita spericolata», nei quali vengono cantate parole con un significato spesso in linea con l’espressività sopra descritta.

In molti di questi brani, infatti, giocano un ruolo cruciale la nostalgia per una storia d’amore ormai finita e/o il ricordo di una persona amata perduta: «Though we kissed through the wild blazing nighttime, she said she would never forget» (Bob Dylan, «I Don’t Believe in You»), «We’ve already said “goodbye”» («Go Now», cantata nella sua prima versione da Bessie Banks e portata poco dopo al successo dai Moody Blues), «This happened once before when I came to your door, no reply» («No Reply» dei Beatles), «When I saw you say “goodbye” to your friend and smile, I thought that it was well understood that you’d be comin’ back in a little while, I didn’t know that you were sayin’ “goodbye” for good» (Bob Dylan, «One of Us Must Know»), «Eppure un sorriso io l’ho regalato e ancora ritorna in ogni sua estate quando io la guidai o fui forse guidato a contarle i capelli con le mani sudate. Non credo che chiesi promesse al suo sguardo, non mi sembra che scelsi il silenzio o la voce, quando il cuore stordì e ora no, non ricordo se fu troppo sgomento o troppo felice» (De André, «Un malato di cuore»), «Come quando fuori pioveva e tu mi domandavi se per caso avevo ancora quella foto in cui tu sorridevi e non guardavi» (De Gregori, «Rimmel»), «Even you yesterday you had to ask me where it was at, I couldn’t believe after all these years you didn’t know even me better than that» (Dylan, «Idiot Wind»).

Un’altra tematica ricorrente in corrispondenza con la successione di accordi qui descritta è individuabile nella canzone di Dylan «I Pity the Poor Immigrant», una delle più simili a «Vita spericolata» tra quelle elencate nella tabella 2, non solo nella dimensione armonica, ma anche in quella melodica: come viene mostrato nell’esempio 13, quest’ultima somiglianza è particolarmente avvertibile nella seconda sezione, dove le melodie dei due brani iniziano con uno slancio ascendente in levare che raggiunge il sesto grado in battere, prosegue con un’ulteriore piccola salita per gradi congiunti, per poi cominciare a scendere raggiungendo in battere una nota dell’accordo minore successivo.

esempio sonoro 13

«I Pity the Poor Immigrant» si concentra sul nonconformismo di chi «wishes he would’ve stayed home, […] uses all his power to do evil,but in the end is always left so alone», descrivendo sia alcuni suoi aspetti poco ragguardevoli («who passionately hates his life […] whom with his fingers cheats and who lies with ev’ry breath») che ciò che lo rende degno di essere considerato con “pity” («who […] fears his death whose tears are like rain […] whose visions in the final end must shatter like glass»).

Anche altri brani successivi elencati dalla tabella 2 anticipano i riferimenti di Vasco alle conseguenze della scelta di una vita indipendente e “piena di guai”: in «Let It Be»(incisa, come è ben noto, poco prima dello scioglimento dei Beatles) l’io lirico riflette su ciò che gli avviene «in times of trouble», sostenendo che in una «hour of darkness […] when the night is cloudy», per tutti coloro che sono «broken-hearted people» c’è ancora «a chance» nonostante «they may be parted»; riprendendone diversi elementi musicali, Fabrizio De André e Nicola Piovani, in «Un malato di cuore», ci conducono sulla collina di Spoon River, dove Francis Turner, confrontando le proprie vicende con quelle meno tribolate dei suoi compaesani, ricorda la propria decisione di vivere un momento d’amore che l’ha condotto alla morte e giunge alla consapevolezza di «non sognare con loro»; «Emozioni» di Battisti riflette sulle esperienze affettive vissute da chi non esita a «guidare come un pazzo a fari spenti nella notte», «Desperado» degli Eagles si rivolge a un «hard one» che ha «ridin’ fences for so long», invitandolo a considerare che «these things that are pleasing can hurt […] somehow», fino a giungere alla domanda «why don’t you come to your senses?» e al consiglio «you better let somebody love you before it’s too late»; infine, in «Canzone senza inganni», dopo alcune parole intonate da Ron (tra le quali troviamo l’enunciato «in questi giorni dove il vento ci porta in tutte le città») e da Goran Kuzminac (a partire dalla frase «è chiaro che la notte non va»), Ivan Graziani canta «ho fatto sempre a modo mio, non ho pregato mai nessuno, né uomo, né donna né Dio». Inoltre, come viene mostrato nell’esempio 14, in questa canzone si possono trovare alcuni accostamenti di parole e musica rinvenibili anche in «Vita spericolata»: come in quest’ultima, infatti, nelle sezioni “dolenti”, caratterizzate da un inizio con un accordo minore, si sentono la parola “bar”, un verbo all’infinito preceduto dalla preposizione “a” (“parlare” in una, “bere” nell’altra) all’inizio della successione di due accordi maggiori con le fondamentali collegate da una quarta discendente, e la parola “guai” preceduta da un aggettivo possessivo al termine di tale successione di accordi.

esempio sonoro 14

L’insieme di questi rilevamenti conduce a ipotizzare che il ricordo delle canzoni pubblicate prima del brano che stiamo analizzando elencate nella tabella 2, o comunque anche solo di alcune di esse o di altri brani simili ad esse nel percorso armonico e nell’espressività delle parole, abbia

  • fornito alcuni modelli per Tullio Ferro nella sua ideazione della versione “originale” di «Vita spericolata», anche senza che egli ne sia stato consapevole,
  • inciso sulla fruizione di questo pezzo da parte del pubblico italiano,
  • influenzato Vasco Rossi nella scelta delle espressioni verbali da utilizzare.[21]

Riguardo a quest’ultimo punto, la somiglianza della musica fornita da Tullio Ferro con quella di diverse canzoni precedenti approfondita in questo paragrafo può essere considerata come una delle principali cause del fatto che Vasco la sentisse talmente «stimolante» da spingerlo a «dire qualcosa di importante»: più in particolare, la stretta parentela di questa musica con quella di brani nei quali venivano cantate riflessioni introspettive su vite “in time of troubles”, quali «Let It Be», «Emozioni», «Un malato di cuore», «Desperado» e «Canzone senza inganni», può essere considerata uno dei principali fattori che hanno determinato la decisione di Vasco di affiancarla a parole riconducibili, tra i tre filoni da lui fino a quel momento maggiormente frequentati, non alle canzoni d’amore (quali «Non l’hai mica capito», «Brava» o «Canzone») né a quelle satiriche (quali «Colpa d’Alfredo» o «Voglio andare al mare»), ma a quelle esistenziali (quali «Sensazioni forti», «Siamo solo noi», «Ogni volta», «Vado al massimo», «Credi davvero», «Splendida giornata» e «La noia»).

Espressività sinergiche

Vediamo ora quale relazione è individuabile tra l’espressività della musica utilizzata in «Vita spericolata» e quella delle parole che l’accompagnano. Nelle sezioni dispari,[22] in corrispondenza con le quattro cadenze finali progressive che si succedono paratatticamente, è stata posta un’anafora[23] con altrettante dichiarazioni d’intenti perentorie del locutore messo in scena,[24] identificabile con l’immagine pubblica di Vasco Rossi in quell’epoca. Grazie a tale accostamento e alla capacità della musica utilizzata di evocare canzoni dotate dell’espressività qui sopra delineata, i desideri tesi a vivere una «vita maleducata» di volta in volta enunciati riecheggiano quelli del «poor immigrant» che «uses all his power to do evil», quelli del «desperado» che vuole solo ciò che «can’t get», e soprattutto le «voglie» espresse altrettanto anaforicamente,[25] perentoriamente e in sincronia con cadenze finali dal «malato di cuore» ritratto da De André.

Nelle due sezioni pari, le prime parole speranzose («ci incontreremo come le star») si ispirano all’immaginario connesso ai film americani, che nella terza sezione emerge esplicitamente con la citazione dell’icona cinematografica Steve McQueen,[26] mentre qui viene evocato allusivamente soprattutto da una citazione di Fred Buscaglione («a bere del whisky al Roxy Bar»);[27] l’espressività della musica che accompagna queste parole fa sì che il loro confidare nel domani sia minato da un misto di malinconia e nostalgia proiettato su eventi futuri, così come avveniva in «Love of My Life» dei Queen (incisa nel 1975) quando, accompagnato da una sequenza di accordi con l’inizio posto una quarta sopra quella usata da Vasco (re minore – la minore – si bemolle maggiore – fa maggiore),  Freddie Mercury cantava «You will remember when this is blown over and everything’s all by the way, when I grow older I will be there at your side».

Dopo questa fase, le ultime parole delle sezioni pari risultano più in linea delle precedenti con l’espressività malinconica della musica utilizzata e con la sua capacità di ricordare intertestualmente quella di canzoni dove si piange la lontananza dalla persona amata quali «I Don’t Believe in You», «One of Us Must Know» e «Rimmel».

Infine, nella quinta sezione, si può notare una sostanziale convergenza espressiva tra la scomparsa nell’ultima sottosezione musicale (gcont) della ciclicità paratattica precedente a favore di un senso di forte conclusività e la corrispondente scomparsa nelle parole dell’anafora con verbi in prima persona e al presente a favore del monito in seconda persona singolare e al futuro «vedrai che vita, vedrai». Questo monito suona come una promessa del locutore messo in scena corrispondente a Vasco a chi solidarizza con lui (come avveniva in una celebre canzone di Luigi Tenco) e come una sorta di orgogliosa minaccia indirizzata contro i propri antagonisti, convergente espressivamente con il fatto che la cadenza finale nel modo maggiore istituito all’inizio del brano che accompagna tale monito implica il superamento della crisi evocata dalla sezione precedente che cominciava in modo eolio.

Un arrangiamento narrativo

«Vita spericolata» è stata registrata, come tutto l’album Bollicine che la contiene, negli studi della Fonoprint di Bologna prima della partecipazione di Vasco Rossi al festival di Saremo del 1983. In un’intervista realizzata nel 2015,[28] Maurizio Biancani, produttore dell’album insieme a Guido Elmi, mi ha spiegato che in questo caso, come in tutto l’album e in molte altre incisioni dello stesso cantante, prima è stata registrata interamente la base strumentale e poi sono state inserite le parti vocali.

Come la musica fornita da Ferro, anche l’arrangiamento guidato da Biancani ed Elmi contiene numerose componenti individuabili in brani precedenti dotate di un’espressività che, entrando in relazione con le parole cantate, ha inciso su quanto la canzone ha comunicato. In questa sede si cercherà di affrontare queste relazioni intertestuali, fino ad ora poco considerate da chi ha scritto su questo brano.[29]

Ciò che si tenterà di mostrare analiticamente è che, grazie all’arrangiamento, viene presentato un percorso narrativo, così descritto dall’autore: «con “Vita spericolata” […] io porto in scena un’idea, un’atmosfera, un sogno, un film» (Cotto 2005, p. 101).

0:00 – 0:17: Introduzione rock malinconica

La sezione A è preceduta da un’introduzione, nata, secondo la testimonianza che ho raccolto da Biancani, «mentre si provava a costruire in sala di registrazione il pezzo, che, con le caratteristiche che aveva il provino dato da Ferro a Vasco, non poteva che essere una ballad»; la realizza Maurizio Solieri con una Fender Stratocaster con un amplificatore Marshall con una cassa da basso. Si tratta di una successione di arpeggi che fa sentire una spola armonica[30] tra un accordo di do maggiore e una triade aumentata con la stessa fondamentale: di conseguenza, nell’arpeggio emerge una spola melodica, tra le note sol e sol diesis, dotata di un’espressività decisamente malinconica.

Quasi a voler evocare il momento della nascita delle parole della canzone, il modulo melodico-armonico utilizzato richiama alla mente «The Road»(esempio 15), dove vengono descritti i disagi della vita in tournée di un cantante che sogna «about the stars» e che accompagna le proprie prime parole con lo stesso tipo di spola tra accordi utilizzato da Solieri.[31]

esempio sonoro 15

A differenza della versione più nota di «The Road» (incisa da Jackson Browne nel 1977) e della sua traduzione in italiano («Una città per cantare», incisa da Ron nel 1980), nelle quali viene usata la chitarra acustica, nell’introduzione di «Vita spericolata» si sente una chitarra elettrica, con un sound clean (con un effetto “chorus” fatto con la pedaliera di Solieri, mentre del delay e una dose massiccia di riverbero sono aggiunti da Biancani col banco di registrazione);[32] di conseguenza, l’atmosfera nella quale viene inserita la sua malinconia solitaria on the road non è quella del mondo dei cantautori fedeli alla linea del primo Dylan “acustico”, ma quella delle ballate rock degli anni Settanta; è a partire da quest’epoca che si è cominciato ad usare un timbro di questo tipo, riscontrabile nelle incisioni di Vasco a partire da «Incredibile romantica» (incisa nel 1981, con l’accompagnamento di una Gibson SG “diavoletto” suonata da Massimo Riva). Tra i primi esempi noti al cantante di Zocca e ai musicisti del suo entourage nei quali si trova questo sound (esempio 16), conviene ricordare l’introduzione di «Heroin» nell’album Rock’n’roll Animal (1974) di Lou Reed[33] e quella, anch’essa dal vivo, di «Stairway to Heaven» nell’album The Song Remains the Same[34] dei Led Zeppelin. Inoltre, la somiglianza del sound dell’introduzione suonata da Solieri con quello dell’introduzione della versione di My way realizzata nel 1978 poco prima della morte da Sid Vicious può far sentire un’affinità tra questo testamento di uno dei punk più “esagerati” e le dichiarazioni d’intenti del rocker di Zocca. Ma l’arpeggio introduttivo di chitarra elettrica con la funzione comunicativa più vicina a quella in esame si trova a pochi secondi dall’inizio di una canzone italiana del 1979, «Fuoco sulla collina», come preparazione di parole riferite al mondo onirico, «Ieri ho sognato un giardino»; questa introduzione si ripresenta poi, come nel brano di Vasco, prima della parte conclusiva della canzone,[35] dopo che il locutore messo in scena da Ivan Graziani ricorda di essere stato bollato come un «illuso romantico e fesso», epiteti affibiabili anche a chi quattro anni dopo vorrà «una vita come Steve Mc Queen».

esempio sonoro 16

0:18 – 1:23: Confidenze intime

Dopo l’introduzione, quando si succedono le sezioni A e B, sentiamo una voce con molto riverbero[36] su di un accompagnamento nel quale un piano elettrico (programmato da Biancani)[37] aggiunge ai suoni dell’arpeggio della chitarra elettrica qualche suono timbricamente simile. L’atmosfera che si viene a creare continua a essere quella associata alla figura del rocker on the road, qui accompagnato solo da una chitarra elettrica e da un tastierista complice, come nella versione di The Song Remains the Same di «Stairway to Heaven» (da 3:02 a 3:15) e nella strofa iniziale di «Stolen Car», incisa nel 1980 da Bruce Springsteen (esempio 17).

esempio sonoro 17

Il potenziale comunicativo della sezione A e di quella B esplicitato nel paragrafo precedente, oltre che da questa atmosfera determinata dalla texture, viene integrato da alcune sfumature dipendenti dall’espressività della parte vocale. Come si può ascoltare nell’esempio 18, delle prime quattro enunciazioni delle parole «voglio una vita» che hanno come accompagnamento un accordo di fa maggiore, la prima è la più veloce, risultando così più perentoria delle altre. Le prime due, oltre ad avere la stessa successione di altezze e durate, hanno in comune il fatto che le sillabe che risultano come i due picchi di intensità sono la prima  (“vo”) e l’ultima (“ta”): è ciò che emerge anche nel profilo delle intensità in verde dei sonogrammi 1 e 2 dell’esempio 19.[38] Rispetto a queste due prime enunciazioni, la terza è meno veloce e con un inizio meno intenso (come emerge anche dal confronto dei profili di intensità in verde dei sonogrammi 1, 2 e 3 dell’esempio 19, Figura 2): espressivamente, risulta quindi meno perentoria e leggermente più malinconica. Infine, la quarta enunciazione delle stesse parole, oltre a collocarsi una terza maggiore sotto le precedenti, ha un timbro più sospiroso, come se in questo caso l’enunciatore intenda passare a una comunicazione più intima. Dal punto di vista espressivo, è poi assai significativo il comportamento vocale nelle conclusioni delle 4 frasi che si succedono paratatticamente nella sezione A (esempio 20): se nella sillaba “sì” al termine della prima frase sentiamo una cadenza “femminile” realizzata con un’appoggiatura che porta dal secondo grado alla tonica, quando, come chiusura della seconda frase, riascoltiamo la stessa sillaba, e quando poi, al termine della terza e della quarta, la sillaba pronunciata è “mai”, troviamo dei vocalizzi piuttosto ampi, sottolineature cariche di pathos delle parole cantate.

esempi sonori 18, 19 (figura 2), 20

Schermata 2019-01-03 alle 19.58.13Figura 2: Sonogrammi delle prime quattro enunciazioni del testo “voglio una vita”, accompagnate da un accordo di fa maggiore, presenti in Vita spericolata [Esempio 19].

Si tenga inoltre conto che dalla prima frase con un verbo in prima persona plurale, sentiamo anche una pluralità di voci, giacché quella sino a quel momento presente viene raddoppiata utilizzando il delay; si sentono così alcuni leggeri sfasamenti ritmici tra le due voci compresenti (ad esempio quando viene cantata la parola “bar”), affini a quelli rilevati da Facci e Soddu (2011, p. 215) in «Vado al massimo». Al momento della seconda esposizione di “suoi” si sente invece in piano un’unica voce (esempio 21), che risulta quindi improvvisamente sola, evocando espressivamente la solitudine alla quale si riferisce la frase appena conclusa.

esempio sonoro 21

1:24 – 3:04: Il protagonista diventa un leader rock temerario

Nel terzo episodio, che contiene le sezioni A’, B’ e A’’, l’aggiunta di diversi strumenti nella texture fa sì che il sound non sia più ‘intimo’: le tematiche esposte nelle sezioni precedenti vengono così ricontestualizzate in un grande scenario pubblico giovanile, come in molte power ballads precedenti; tra quelle più imparentate con «Vita spericolata», troviamo questa trasformazione del sound nelle versioni dal vivo di «Heroin» (a partire da 1:45) e di «Stairway to Heaven» (a partire da 4:42), nella cover di «The Road» di Jackson Browne e nella sua versione in italiano incisa da Ron.

Soffermiamoci sul confronto con questi ultimi due brani (esempio 22): nella versione di «The Road» contenuta in Running on Empty, fino a 2:55 sentiamo la registrazione di un’esecuzione della prima parte del brano realizzata da Jackson Browne, accompagnandosi con una chitarra acustica, in una camera d’albergo in compagnia del violinista David Lindley, dopodiché subentra la registrazione dell’esecuzione della parte finale realizzata dallo stesso cantante insieme al proprio gruppo di fronte a un folto pubblico la cui partecipazione entusiastica viene manifestata dai rumori più consueti che caratterizzano solitamente le riprese sonore dei concerti rock; in «Una città per cantare», fino a 2:26 il violino di Lucio Fabbri, la chitarra di Ron e la sua voce rievocano quanto Lindley e Browne facevano in una camera d’albergo, dopodiché il sound predisposto nello studio di registrazione per il resto del brano, nel quale si sentono sia l’alternanza tra le voci di Francesco De Gregori, Lucio Dalla e Ron che applausi e fischi di giubilo di un pubblico festante, ricorda la partecipazione di Rosalino Cellamare alla trionfale tournée negli stadi intitolata “Banana Republic”; in «Vita spericolata», fino a 1:23 le dichiarazioni d’intenti dell’enunciatore messo in scena e le frasi da lui rivolte al proprio enunciatario si collocano in una relazione d’intimità tra pochi amici affine a quelle evocate dagli inizi di «The Road» e «Una città per cantare», dopodiché il sound prodotto in studio nella sezione da 1:24 a 3:03 colloca l’enunciatore in compagnia di un gruppo rock (con l’utilizzo di una chitarra elettrica, due tastiere, un basso elettrico e una batteria) in grado di ricordare ai fan di Vasco quello che all’epoca lo accompagnava nei concerti dal vivo, e dunque in un contesto nel quale il pubblico dei concerti giovanili, anche se non si manifesta esplicitamente attraverso suoni ad esso riconducibili, come avveniva nei brani di Jackson Browne e Ron, viene implicato come ascoltatore modello del sound proposto.

esempio sonoro 22

Per quanto concerne il sound vocale, come al termine del secondo episodio, all’inizio del terzo si sente un’unica voce, senza riverbero e senza delay, mentre il raddoppio all’unisono si ripresenta a partire da 1:47, quando, come è stato notato nel secondo paragrafo di questo saggio, la linea melodica, invece di scendere, si slancia verso l’alto manifestando un improvviso impeto. Con questo sfogo, in stretta relazione con la transizione da una dimensione intima a una pubblica, l’enunciatore messo in scena passa da un atteggiamento pacatamente confidenziale a uno temerariamente proclamatorio: non si limita quindi più a prendere coscienza dei propri desideri, ma pretende che siano soddisfatti,[39] e assume anche un ruolo cruciale nella costruzione dell’identità del rocker di Zocca: quello del portavoce pubblico di esperienze “reali”,[40] presentate sospendendo il giudizio nei loro confronti, invitando a un approccio catartico.[41]

3:04 – 3:20: Un’amara disillusione

Da 3:04 a 3:20 troviamo un quarto episodio, con una funzione comunicativa analoga a quella degli episodi da 2:30 a 3:30 di «Heroin» e da 3:02 a 3:24 di «Fuoco sulla collina»(esempio 23): si sente che è terminata una fase con il sound di un gruppo rock e che si torna in una dimensione più intima che richiama quella dell’introduzione. In «Vita spericolata», oltre alla chitarra elettrica con la spola I-iv (nella quale il primo accordo è identico al primo accordo della spola utilizzata nell’introduzione, mentre il secondo ripropone due suoni del secondo accordo della spola dell’introduzione, sostituendone il mi con un fa), si sentono dei vocalizzi malinconici funzionali ad esprimere il timore che, con la scomparsa del gruppo rock, l’entusiasmo precedente sia destinato a risultare illusorio.

esempio sonoro 23

3:21 – 3:41: Il protagonista diventa leader di un coro

A 3:21 il silenzio che concludeva l’episodio precedente viene rotto dal ritorno dei suoni della batteria, che merita di essere confrontato con quelli che si trovano a partire dal terzo minuto di «The Road» e da 2:30 in poi in «Una città per cantare»(ascoltabili nell’esempio 22 considerato più sopra); in tutti e tre i casi la dimensione intima e malinconica precedente viene abbandonata: nel caso dei brani di Jackson Browne e Ron, si sente un primo inserimento del sound di un concerto rivolto a un folto pubblico giovanile, mentre in «Vita spericolata» si tratta di un ritorno a tale scenario, con la riapparizione del gruppo rock.

Conviene poi considerare un altro precedente: ne «Il mio canto libero»di Lucio Battisti (pubblicata nel novembre 1972), proprio come in “Vita spericolata», un fill di batteria con una grande eco che sfocia su un colpo di piatti introduce clamorosamente il ritorno della voce dell’autore[42] che, alla testa di un coro[43] con voci femminili un’ottava sopra la sua, ripropone un’ascesa per gradi congiunti di tre note già da lui esposta in precedenza (esempio 24). La valenza espressiva dei due gesti è analoga: si invita a inferire che le scelte precedentemente esposte da un unico enunciatore vengono ora condivise da una comunità (da lui guidata) costituita da una «somma di individui […] destrutturata, atomizzata, plasmata dal consumo e dalla vita in estemporanea»[44] (Berselli 1999, pp. 150-151).

esempio sonoro 24

Del fill di batteria di «Vita spericolata», Biancani, nell’intervista a me concessa, ha dichiarato: «quando l’hanno ascoltato, insieme ad altri passaggi simili da me prodotti per gli album di Vasco, mi hanno chiamato in molti altri album italiani per avere questi suoni di batteria perché per l’Italia era una novità: negli album fatti all’estero si erano invece già sentiti questi noise, queste riverberazioni lunghe, con questo riverbero sui tom e questi rullantoni enormi. Così, quando si è trattato di produrre questo passaggio, con Elmi abbiamo deciso di mettere una sonorità diversa da quella degli album dei cantautori italiani dell’epoca e da cose tipo quelle dei Pooh; doveva essere una sonorità molto effettata, che desse un impressione di grandezza: allora, abbiamo usato un rullante che avesse già un suono che sembrava molto grosso e fondo, come quello dei Foreigner, e dei tom molto bassi di intonazione; poi ho aumentato molto il livello di un riverbero Yamaha per ottenere un effetto di noise gated reverb.[45] In quel periodo per me Hugh Padgham era un dio e il mio pezzo di riferimento era “In the air tonight” di Phil Collins».

3:42 – 3:59: Il leader grida a un coro solidale a lui e al suo gruppo rock

A 3:42 di «Vita spericolata», mentre il coro e l’accompagnamento strumentale ripetono quanto facevano in precedenza, la voce di Vasco modifica il proprio comportamento (esempio 25): il soggetto plurale e quello singolare pronunciano simultaneamente le stesse parole, ma mentre l’uno canta una melodia, l’altro assume un altro dei ruoli che hanno maggiormente caratterizzato l’identità che Vasco si stava costruendo all’inizio degli anni Ottanta con le proprie performance in studio di registrazione e dal vivo: quello dell’urlatore a squarciagola[46] protagonista nel rock da stadio, sommo sacerdote del rituale[47] che caratterizza il tipo di concerto consustanziale con quel genere musicale. È la relazione tra il sommo sacerdote urlatore, il coro da stadio del pubblico e l’accompagnamento del gruppo rock nei momenti clou di questo rituale che viene evocata dalla relazione tra la voce gridata di Vasco, il coro melodico e l’accompagnamento strumentale rinvenibile nel sound di questo episodio.

esempio sonoro 25

4:00 – 4:44: Exit music (with lighter salutes)[48]

A partire dall’inizio del quarto minuto, la voce di Vasco urlata smette di ripetere le parole della sezione B per riprenderne alcune della sezione A’, mentre al coro si sostituisce un assolo di sax alto[49] con una funzione comunicativa affine a quella dell’assolo realizzato dallo stesso strumento negli ultimi 45 secondi di «Una città per cantare»[50](esempio 26). Rispetto alla tendenza di entrambe le canzoni a risultare come colonne sonore di film immaginati dagli ascoltatori, entrambe gli episodi funzionano come musiche dei titoli di coda di tali film: nella canzone di Ron l’enunciatore precedentemente messo in scena scompare, mentre nell’altro caso la voce non si sente più solo negli ultimi dieci secondi.

esempio sonoro 26

Una power ballad per una vita da icona pop

L’analisi qui condotta sulla relazione tra la musica fornita da Tullio Ferro come punto di partenza di «Vita spericolata», le parole ad essa aggiunte e l’arrangiamento della sua incisione discografica guidato da Elmi e Biancani ha fatto emergere che questa canzone era in grado di inscenare un film/sogno articolato sostanzialmente in due parti: nella prima parte (i primi tre minuti), dopo un’ introduzione con un’atmosfera da ballata rock malinconica, solitaria e on the road, Vasco passa da una dimensione intima a uno scenario pubblico, decisamente più ampio, cominciando con alcune confessioni, perentorie ma confidenziali, sui propri desideri, facendole seguire da malinconiche previsioni sul futuro suo e di chi come lui è «perso dietro i fatti suoi», e poi da sfoghi più temerari che lo trasformano in leader di un gruppo rock e che sfociano nell’ambigua conclusione «vedrai che vita, vedrai». La seconda parte (da 3:03 fino al termine) inizia con la scomparsa del gruppo rock e col simultaneo sconforto del protagonista tornato in un’atmosfera malinconicamente solitaria, dopodiché si assiste al rientro prima del batterista e poi dell’intero gruppo rock precedentemente apparso, con una seconda sostituzione di uno scenario pubblico al posto di quello intimo, nel quale le previsioni malinconiche del leader trascinano una comunità a lui solidale, dopodiché il canto di tale comunità si sincronizza con i suoi urli liberatori per lasciare spazio infine a un solista del gruppo rock che rimane in primo piano nell’ultima scena, mentre la voce di Vasco passa in secondo piano e infine scompare poco prima della fine.

Il ruolo giocato da questa canzone nel panorama della popular music italiana nel quale si è inserita può essere allora così formulato: nel 1983 questo sogno/film, pur avendo alcune caratteristiche già presenti in alcune canzoni italiane precedenti (quali, per esempio, «Fuoco sulla collina», «Una città per cantare», «Canzone senza inganni», «Alba chiara» e «Siamo solo noi») è risultato più aderente di queste (e di altri brani precedenti o coevi) al modello della power ballad[51] da stadio nello stile del rock americano[52] o britannico (e, più specificamente, al filone del quale, tra i principali prototipi, si possono annoverare la versione di «Heroin» in Rock’n’roll Animal, quella di «Stairway to Heaven» in The Song Remains the Same, «Dream On»degli Aerosmith, «Love Hurts» dei Nazarethe «More Than a Feeling»dei Boston), fornendo a Vasco Rossi una nuova identità, confermata dall’album Bollicine e dall’ottantina di concerti da lui tenuti quell’anno in tutta Italia, che gli ha procurato un successo molto maggiore di quello da lui acquisito in precedenza; da cantautore rock portavoce ironico e provocatorio dei desideri giovanili di sensazioni forti, egli si è trasformato in un’icona pop in grado non solo di esprimere (e guidare)[53] le opinioni di molti giovani italiani suoi contemporanei, ma anche di passare in un unico brano da confessioni confidenziali a esternazioni temerarie, a espressioni di sconforto, a sfoghi liberatori, a incitazioni trascinanti.

Quale fuga? Da quali anni Ottanta?

Per inserire le osservazioni contenute in questo saggio in una riflessione a più ampio raggio sulla relazione tra il testo sonoro qui analizzato e il suo contesto, concentriamoci ora su una recente affermazione di Vasco Rossi su «Vita spericolata» affine a quanto Pier Vittorio Tondelli aveva scritto su questa e altre sue canzoni:[54] «si trattava […] di una fuga dalla realtà, necessaria in un periodo storico come quello (yuppies, paninari, arrivismo, corruzione, soldi facili e craxismo)» (Rossi 2011, p. 15).

Se ci limitassimo a considerare le parole da lui cantate a Sanremo nel 1983, si potrebbe concordare con Edmondo Berselli quando questi sosteneva che «malgrado la rivendicazione di Tondelli della diversità radicale di Vasco rispetto alla realtà degli anni Ottanta (con il primato delle carriere e l’eco della formula “I make money by money” di Mickey Rourke in Nove settimane e mezzo) lo scoppiatone di Zocca potrebbe essere il simbolo essenziale del passaggio vertiginoso dalla bandiera rossa al gioco delle blue chips. Non perché sia “di destra”: ma per una filosofia di vita che è tutta nella velocità, nell’esperienza bruciante, nello sballo, nell’esagerare» (Berselli 1999, pp. 136-137).

Analogamente, si potrebbe sostenere che le parole di «Vita spericolata», nell’esprimere l’illusione giovanile (individuabile non solo negli anni Ottanta) che basti opporsi alla generazione precedente fregandosene di tutto per essere liberi[55] vivendo una vita costantemente intensa immune dalla noia, propongono una visione della libertà e del piacere tutt’altro che in opposizione con quella dei paninari e dei rampanti, giovani o giovanili, ad essa contemporanei.

A ben vedere, però, nel ritratto di Blasco lasciatoci da Tondelli, in primo piano non sono le parole da lui cantate, ma «la sua faccia da contadino, la sua andatura da montanaro, la sua voce sguaiata da fumatore, il suo sguardo sempre un po’ perso» (Tondelli 1990, p. 583), che, come il suo look dell’epoca, solitamente «trascurato e casual» (Giachetti 1999, p. 54), da rocker di provincia, lo allontanavano dal mondo degli yuppies all’italiana, dei paninari metropolitani e degli arrivisti rampanti.

Inoltre, sulla base di quanto è stato esposto in questo saggio, si può aggiungere che il sound di “Vita spericolata» la colloca nell’ambito di un genere musicale, il rock da stadio, diverso dai generi musicali più aderenti nell’Italia del 1983 con le norme ideologiche[56] che guidavano i paninari e chi praticava il gioco delle blue chips.

Non sembra infine troppo azzardato sostenere che la presenza in questa canzone di elementi che riecheggiano quelli rinvenibili in brani realizzati nell’ambito del rock internazionale a partire dagli anni Sessanta e della canzone d’autore italiana negli anni Settanta abbia contribuito a far sì che molti ascoltatori degli anni Ottanta, tra i quali l’autore di questo saggio, la sentissero profondamente radicata nel mondo dei sogni e delle illusioni all’insegna dell’edonismo individualista proprio di quei giorni, ma in fuga da molti «new gold dreams» in voga in quell’epoca.

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Tondelli, Pier Vittorio. 1990. Un weekend postmoderno. Cronache degli anni ottanta. Bompiani, Milano.

Note

[1] L’articolo presenta un ricchissimo apparato multimediale a corredo. Onde non appesantire eccessivamente la lettura (né il file pdf che se ne farebbe da tramite), oltre che per motivi di diritti, per rendere fruibili i video didattico-analitici approntati dall’autore (indicati nel corso del testo), si è deciso di rinviare a un unico link; eccolo: <http://bit.ly/marconi-vitaspericolata> (si tratta di una cartella DropBox contente 25 video, in formato m4v e mp4). [Nota dei Redattori]

[2]<http://www.hitparadeitalia.it/classifiche/scat/scat01.htm>.

[3] Nel testo più autorevole sui concerti tenuti da Vasco nella sua carriera (Giovanazzi e Pirito 2011), risulta che egli aveva fatto 127 date prima della pubblicazione di «Vita spericolata», delle quali solo 12 a sud di Ancona, 11 delle quali erano state fatte nell’agosto del 1982.

[4] Sul concetto di “icona pop musicale”, intesa sociosemioticamente come una figura mediatica mitopoietica nell’ambito della cultura pop, dotata non solo di celebrità, ma anche della capacità di funzionare come modello di riferimento attraverso la propria immagine e un complesso gioco di rimandi tra identità e apparenze, cfr. Spaziante (2016).

[5] Questo dato viene fornito da Becker (2011. p. 135).

[6] Nella Hit parade Italia del 1983 risulta al quinto posto, in una classifica che nelle prime quattro posizioni vede Thriller di Michael Jackson, L’arca di Noè di Franco Battiato, 1983 di Lucio Dalla e la colonna sonora di Flashdance (<http://www.hitparadeitalia.it/hp_yenda/lpe1983.htm>).

[7] Una versione di «Vita spericolata» con alcune parole diverse dalla versione finale e con Tullio Ferro che canta in un misto di grammelot e inglese è reperibile su YouTube (<https://www.youtube.com/watch?v=6RXozcnk-90>); non mi è stato possibile accertare se la parte cantata in questa versione dall’autore della musica corrisponda con quella della cassetta a partire dalla quale sono state scritte le parole.

[8] Riflettendo nel 1983 sui sette anni di desiderio che l’avevano preceduto, Eco commentava: «si sono svolti […] all’insegna della dismisura, […] lo slogan sessantottesco che (anche se tacito) ha continuato a prevalere è stato “prendete i vostri desideri per la realtà”» (Eco 1983, p. 8).

[9] «Ho scritto quel brano pensando al mio amico d’infanzia Mario Giusti. si trovava in una fase molto delicata della sua esistenza: si faceva di pere. È stato, il suo, un lungo viaggio di 5 anni nella droga. Io ero su altre strade, allora. Tutta la canzone, più che una lettera aperta alla mia gente, a quello che voi giornalisti chiamate “il popolo di Vasco”, era un discorso al mio amico. Quando dico: “E poi ci troveremo come le star, a bere del whisky al Roxy Bar” esprimevo una speranza, un augurio; quando dico “forse non ci incontreremo mai” davo voce a una mia paura. […] Poi però, a mano a mano che procedevo, apparivano altri elementi, altri fattori» (Cotto 2005, p. 61).

[10] Secondo Alessandro Alfieri, nelle canzoni di Vasco il noi «esprime l’idea di gruppo sociale basato su idee che non corrispondono ad autentici valori condivisi, ma paradossalmente a disvalori, ovvero al rifiuto di valori» (Alfieri e Palanca 2012, p. 120).

[11]  A proposito del testo di «Vado al massimo», Vasco ha dichiarato: «significa che stiamo esagerando, stiamo esagerando con le pastiglie, con le droghe, con la noia, con le ingiustizie. I ragazzini di oggi non hanno valori a cui attaccarsi e allora vanno al massimo con il rischio di avere ancora di meno. Non invento niente, dico solo le cose che sono nell’aria» (Del Curatolo 2004, p. 37).

[12] «La musica di Tullio era straordinariamente stimolante e io volevo dire qualcosa di importante» (Rossi 2005, p. 122).

[13] Nella tabella 1 (in coda), per mostrare che ogni sezione della prima parte del brano analizzato inizia con la ripetizione della sua prima unità (anche se le parole cantate sono diverse in ogni unità), la prima unità di ogni sezione e le sue ripetizioni sono poste una sopra l’altra. In questa tabella e nella tabella 2, nelle successioni dove vi è una tonicizzazione (indicata dalla lettera t maiuscola in corsivo) dell’accordo minore posto sul sesto grado (indicato col simbolo vi), la continuazione viene indicata nella riga immediatamente inferiore, mentre dove compaiono tonicizzazioni di altri accordi la continuazione viene indicata nella riga immediatamente superiore.

[14] In ogni cella della tabella 2 (in coda), come nelle illustrazioni delle analisi paradigmatiche di Ruwet e Nattiez, le unità uguali sono poste una sopra l’altra. Il blu è stato usato per evidenziare quali brani sono nella stessa tonalità d’impianto di «Vita spericolata», il do maggiore. Il rosso è stato usato per evidenziare quali brani hanno sezioni che iniziano con la stessa successione di funzioni tonali con la quale inizia la sezione A di «Vita spericolata». Il fucsia è stato usato per evidenziare quali brani hanno una sezione B simile a quella del pezzo di Vasco. L’arancione è stato usato per evidenziare quali sezioni finali hanno una conclusione simile a quella della prima parte di quel pezzo.

[15] In questo saggio il termine “loop” viene usato rifacendosi all’uso fattone da Tagg (2011, pp. 239-285) e Moore (2012 pp. 76-85).

[16] Come si può ascoltare nell’esempio 1, la successione di accordi contenente due cadenze finali che si trova all’inizio e alla fine della prima sezione cantata di «Vita spericolata» presenta, una terza minore sotto, quella che corrisponde con la prima parte cantata di «Don’t Bogart That Joint», canzone incisa dal gruppo Fraternity of Man nel 1968, inserita nel 1969 nel film Easy Ryder e parzialmente riproposta dai Little Feat (con un sound analogo a quello della sezione A’ di «Vita spericolata») nell’album dal vivo Waiting for Columbus del 1978.

[17] Il contrasto di espressività tra la sezione A e quella B di «Vita spericolata» ripropone, in ordine inverso, quello tra la prima sezione (in modo eolio, con parole quali “tormento”, “speme fallace” e “riposo non ho”) e la seconda (in modo maggiore, con parole quali “io vivo contento”, “diletto”, e “riposo haverò”) nelle quali si articola la prima parte di ogni strofa di «Sì dolce è ’l tormento», che ha una successione di accordi con le stesse funzioni tonali dell’inizio del loop di accordi presente nella prima parte di ogni strofa della canzone di De André «Il testamento di Tito».

[18] Sulle “corde di recita”, cfr. Stefani (1987, p. 104).

[19] In tre dei brani che contengono la successione IV-iv precedenti rispetto a «Vita spericolata» elencati in questo saggio, è individuabile la compresenza dell’espressività malinconica di questa successione e di contenuti affini a quelli delle parole «ognuno in fondo perso»: in «I’ll Follow the Sun», la seconda apparizione di questa successioni coincide con le parole «lose a friend in the end», in «Canzone» la sua seconda apparizione viene seguita dalle parole «non ci sei più», mentre in «Ogni volta» la sua seconda apparizione corrisponde con le parole «ogni volta che sono sicuro e ogni volta che mi sento solo».

[20] L’espressione “cont” da me usata in gcont sta a indicare che nel frammento così indicato è presente un contrappunto tra due linee.

[21] «Quando scrivo […] penso a delle sensazioni che è la musica stessa a darmi, e cominciano a venirmi fuori le parole» (Rossi 2011, p 168).

[22] Verranno qui chiamate “sezioni dispari” la prima, la terza e la quinta sezione della prima parte di questo brano, mentre verranno chiamate “sezioni pari” la seconda e la quarta sezione della sua prima parte.

[23] Sull’uso dell’anafora in questo brano, cfr. Angiolani (2009, pp. 118-119).

[24] Per una riflessione sulla presenza nelle canzoni della messinscena di locutori, si veda Marconi (2009, pp. 86-87).

[25] «E ti viene la voglia di uscire e provare che cosa ti manca per correre al prato, e ti tieni la voglia, e rimani a pensare come diavolo fanno a riprendere fiato».

[26] «Fino all’ultimo non si è deciso come terminare la frase che cominciava con “voglio una vita come”; all’inizio era “come James Dean”, ma è stata scartata perché Dean era un personaggio perdente: doveva essere uno spericolato che si divertiva; Guido Elmi ha proposto Steve Mc Queen e Vasco ne è stato subito entusiasta» (Biancani 2015).

[27] Rossi ha più volte dichiarato che il Roxy Bar viene da «Che notte» (dove viene cantato anche il «non si sa mai» presente nella prima sezione di «Vita spericolata»). Un altro locale con un nome legato alla ricerca di evasione in scenari americani, l’Harry’s Bar, conclude in «Rimini», incisa da De André nel 1978, un verso che precede in quel brano di due battute la successione di accordi la minore – mi minore – fa maggiore – do maggiore sulla quale il rocker di Zocca pone la citazione del ritrovo notturno nominato da Buscaglione.

[28] Nelle note di questo saggio sono state inserite alcune parti delle risposte di Biancani alle domande a lui rivolte durante l’intervista, segnalate mettendo dopo la parte citata il suo cognome seguito dall’anno dell’intervista tra parentesi, e dunque utilizzando la formula seguente: (Biancani 2015).

[29] Tra i pochi commentatori che hanno prestato attenzione all’arrangiamento di questo pezzo, possono essere citati Giachetti e Peroni (2005, p. 74), che non lo confrontano però con quello di altre canzoni.

[30] Sulle spole tra due accordi, cfr. Tagg (2011, p. 209)

[31] Se nell’introduzione suonata da Solieri l’accordo maggiore e la triade aumentata in alternanza hanno come fondamentale la nota do, nella prima versione di «The Road» (pubblicata nel 1972 e cantata dal suo autore Danny O’Kefee) la fondamentale dei due accordi è un la, mentre nella cover di Jackson Browne e nella versione cantata in italiano da Ron è un sol.

[32] «I suoni della registrazione, all’epoca di Bollicine, non venivano posposti, come si fa adesso, al momento del mixaggio, registrando tutto molto flat: si producevano subito i pezzi in maniera che fossero già praticamente finiti e che nel mix si facessero solo i livelli» (Biancani 2015).

[33]Nell’intervista a me concessa, Biancani ha precisato che nell’arrangiamento prodotto da lui e da Elmi la sonorità clean dell’introduzione di Solieri non era stata realizzata ispirandosi a quella di un brano particolare, ma comunque doveva richiamare quella di pezzi americani. I repertori da lui citati come fonti d’ispirazione per il sound chitarristico utilizzato in questa introduzione (e in alcuni pezzi dell’album precedente Vado al massimo) sono le canzoni di Brian Adams e Rick Springfield.

[34]The Song Remains the Same è stato pubblicato nel 1976, ma documenta alcuni concerti tenuti dai Led Zeppelin nel 1973.

[35] Un’altra somiglianza nell’arrangiamento di queste due canzoni consiste nel fatto che in entrambe, dopo l’arpeggio di chitarra elettrica, insieme alla voce si aggiunge un piano elettrico: se nel primo episodio nel quale ciò avviene in «Fuoco sulla collina» si aggiunge anche il basso, assente invece nel primo episodio cantato di «Vita spericolata», assai simile al suo sound è la ripresa all’inizio della coda della canzone di Graziani, nella quale sono presenti solo la sua voce, la chitarra elettrica e il piano elettrico.

[36] «In una delle prime riunioni di produzione di Bollicine abbiamo deciso che in quell’album, a differenza di gran parte degli album che si facevano allora in Italia, avremmo differenziato ogni brano utilizzando in ognuno una diversa impostazione degli effetti sulla voce» (Biancani 2015).

[37] Biancani nell’intervista ha dichiarato che all’epoca di Vado al massimo e Bollicine era lui a programmare i sintetizzatori (all’epoca ancora analogici) e le tastiere analogiche utilizzate in quegli album.

[38] Ringrazio Andrea Taroppi e Fabio Regazzi per i consigli e i sonogrammi che mi hanno fornito, a partire dai quali sono stati ricavati i sonogrammi dell’esempio 19.

[39] «Io volevo, sognavo, pretendevo […] una vita spericolata» (Rossi 2011, p. 15).

[40] «Fotografo realtà e situazioni esistenti, senza la pretesa né di inventarle, né tantomeno di risolverle. Racconto sensazioni mie o che sono nell’aria». (Giachetti 1999, p. 54).

[41] «Cantare davanti ai miei fan mi fa star bene […], è una catarsi. Per quello dopo si sta meglio. Magari non abbiamo cambiato il mondo, però siamo cambiati un po’ noi, abbiamo cambiato il nostro umore, ci siamo sfogati» (Rossi 2011, p. 147).

[42] L’uso di un fill di batteria che sfocia in un colpo di piatti e nell’entrata di un coro nell’ambito di una power ballad si trova anche in «Goodbye to Love», pubblicata dai Carpenters nel marzo del 1972.

[43]  «Le doppie voci e i coretti un po’ soul sono presi da Battisti: Vasco li ha trasferiti nel suo mondo ma confessava tranquillamente “le ho prese da lui perché per me è il top dei top”» (Biancani 2015).

[44] «Forse l’unico elemento che hanno in comune i fan del Blasco è la perdita, avvenuta chissà quando, di qualsiasi fede. E forse di qualsiasi fiducia o ipotesi sulla collettività» (Berselli 1999, p. 151).

[45] Sull’uso (e abuso) di questo effetto nel pop e nella dance music degli anni Ottanta a partire dal terzo album di Peter Gabriel, cfr. Fabbri (2002, pp. 176-177).

[46] «Do almeno un grido nel buio per farci coraggio» (Giachetti 1999, p. 77).

[47] «Gli stadi e il concerto sono il mio rito laico. Il concerto è un rito di comunione» (Rossi 2011, p. 174).

[48] Tra gli amici della IASPM che ringrazio per i suggerimenti fornitimi su questo pezzo, Roberto Agostini, parlando del suo finale, mi ha detto «è quel tipo di coda che fa alzare gli accendini accesi al cielo».

[49] «Abbiamo scelto di non mettere un solo di chitarra elettrica, perché ci avrebbe fatto ricadere nell’ennesima ballad che avevamo già fatto nei dischi precedenti: abbiamo allora chiamato un saxofonista molto bravo, con un suono straziante, che era Rudy Trevisi» (Biancani 2015).

[50] Nell’ambito del rock internazionale precedente, l’assolo di sax che può essere considerato come un modello di quelli di queste due canzoni italiane è quello realizzato da Clarence Clemons (da 3:55 a 6:05) in «Jungleland», power ballad incisa da Bruce Springsteen nel 1976.

[51]  Interessanti annotazioni sulle power ballads e sull’uso fattone dai musicisti rock «to bind their audiences into an emotional community» sono state presentate da Frith (2001, pp. 100-101).

[52] «Prima, se proponevi il rock all’americana alle case discografiche, ti dicevano che era anti-commerciale e che la gente non lo voleva ascoltare, perché, se ascoltava del rock lo ascoltava in inglese e lo ascoltava da gente come Bruce Springsteen. Però Rossi è riuscito ad adattare il linguaggio del rock alla lingua italiana» (Biancani 2015).

[53] Se è condivisibile la tesi di Alessandro Alfieri secondo la quale Vasco Rossi non è stato solo un fotografo a posteriori di realtà esperienziali già esistenti, ma ha anche contribuito con i propri testi a determinare tali realtà, assai più discutibile è invece la loro affermazione che egli «non ha solo promosso l’attuale stato di cose, ma […] ne è stato anche fondatore e maggiore ideatore nel corso della sua carriera» (Alfieri e Talanca 2012, p, 117).

[54] Secondo Tondelli, Vasco Rossi si collocava contro «la normalizzazione, il carrierismo, il perbenismo» (Tondelli 1990, p. 583).

[55] Michele Monina ha notato che l’autore di «Vita spericolata» ne ha parlato negli anni Novanta «come della canzone dell’illusione da contrapporre a “Liberi liberi”, la canzone della disillusione. Motivo che lo porterà spesso a eseguire le due canzoni durante i concerti l’una dopo l’altra, come a voler chiudere un discorso iniziato tanti anni prima» (Monina 2007, p. 91).

[56] Sulla relazione tra i generi musicali e le norme ideologiche, cfr. Fabbri (2002, pp. 62-63).

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Tabella 1: Relazioni di successione tra le sezioni, le unità melodiche e le funzioni tonali degli accordi (rispetto a Do maggiore e a La eolio) nella prima parte di «Vita spericolata».

 

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Tabella 2: Successioni di accordi con funzioni tonali simili a quelle della prima parte di «Vita spericolata».