Guido De Rosa
g.derosa@outlook.com
ABSTRACT
Nel 2007 si svolge l’ultima edizione del Festivalbar, manifestazione musicale che era giunta in quel momento alla quarantatreesima edizione. In questo articolo si intende focalizzare l’attenzione su alcuni elementi costitutivi originari (la tipologia di gara, il rapporto con il mercato discografico, la modalità d’esibizione, l’adesione convinta degli artisti) seguendone il mutamento nel corso dei decenni, con particolare attenzione agli anni Ottanta e Novanta del xx secolo. È stato possibile così riscontrare come lo snaturarsi, e poi venir completamente meno, delle caratteristiche originarie abbia determinato l’improvvisa fine di quella manifestazione musicale. Ovviamente non si potranno tralasciare i mutamenti dell’industria musicale (e quelli socioeconomici) del Paese, e l’avvento dei nuovi mezzi di diffusione, YouTube su tutti.
C’era un tempo in cui Festivalbar voleva dire la fine della scuola, mentre la finale di settembre segnava l’inesorabile inizio di un nuovo anno scolastico e soprattutto televisivo. Più tardi le due compilation, la rossa e la blu – con i brani più interessanti quasi sempre ad appannaggio esclusivo della blu – sarebbero diventate presenze costanti nella collezione di un teenager. Nonostante i tanti annunci e le promesse poi puntualmente disattese, quella del 2007 è stata inaspettatamente l’ultima edizione del Festivalbar, per lungo tempo colonna sonora delle estati italiane.
La nascita, il jukebox e la gara
Dalla metà degli anni Cinquanta, sull’esempio dei Festival di Sanremo e di Napoli esplode letteralmente la febbre dei festival. Si aggiungono così Ancona, Velletri, Viareggio, Venezia, Como, Messina, Montecatini, Livorno, Sondrio, Grado, Pesaro, Palermo, Lucca e moltissimi altri. La maggior parte si limita a ricalcare la formula sanremese; altri ne costituiscono una variante dedicandosi alla canzone dialettale, alla canzone straniera; altri ancora sono ibridi – come il Festival di Grado, in cui sono in gara canzoni in lingua italiana, in tedesco e in dialetto gradese (Piazzoni 2011, p. 191). «All’inizio degli anni Sessanta lo studio e l’applicazione del marketing culturale, la capacità deduttiva sulle strategie della comunicazione e sul business discografico, erano ancora all’anno zero» (Gentile 2005, p. 13). Editori e discografici si buttano quindi alla “garibaldina” sui festival intuendone le possibilità pubblicitarie, mentre gli enti turistici vanno scoprendo nella musica leggera un potente elemento di richiamo e di attrazione. Fioriscono così nel 1957 Castrocaro, dedicato alle “voci nuove” – lo vinceranno, tra gli altri, Carmen Villani nel 1959 e Gigliola Cinquetti nel 1963 – mentre nel 1959 debutta Lo Zecchino d’oro, destinato al nuovo pubblico dei bambini, nel 1962 è la volta di quel Festival degli sconosciuti di Ariccia, ideato da Teddy Reno, che “scoprirà” giovani talenti come i Rokes e Rita Pavone. Sempre al 1962 risale la nascita del Cantagiro, creato da Radaelli e subito vinto da Adriano Celentano con «Stai lontana da me». Si giunge così al 1964 che vede la contemporanea nascita del Festival delle Rose, di Un disco per l’estate della Rai e infine del Festivalbar di Vittorio Salvetti: manifestazioni sicuramente di successo ma che, per contro, «selezionano radicalmente il settore», come riconosce amaramente Mario De Luigi (1982, p. 26) storico dell’industria discografica e direttore della rivista Musica e Dischi, «concentrando le vendite su pochi dischi di successo anziché distribuirle su un vasto arco di repertorio». Il mercato musicale italiano durante i mesi estivi è stato vittima, fino a quel momento, di un pericoloso torpore e la valorizzazione commerciale delle vacanze è prioritaria per l’industria discografica. Si dà così forma a un nuovo genere, si potrebbe chiamarla “canzone balneare”, in cui cimentare la creatività di parolieri e compositori. Canzoni e cantanti dell’estate sono, almeno agli inizi, degli outsider, personaggi minori (o che propongono canzoni “secondarie”) bisognosi di essere portati alla conoscenza del pubblico; in seguito la bontà della proposta, forse, farà il suo corso.
Per la canzone, gli anni Sessanta furono qualcosa di molto simile ad un’adolescenza esplosa senza preavviso. Di essa ebbero l’esuberanza, la grande energia e il bisogno frenetico di “fare”; ma anche in egual misura la confusione e superficialità (Baldazzi 1989, p. 122).
Sono almeno trenta i balli avvicendatisi senza lasciare alcun segno tra il 1960 e il 1964. Il fatturato del disco tra il 1964 e il 1965 raggiunge i ventiquattro miliardi di lire con ventotto milioni e mezzo di 45 giri e quattro milioni di 33 giri venduti. Per “piazzare” un disco a 45 giri è inutile puntare su complesse alchimie, la strada è una sola:
Farsi vedere, farsi ascoltare, oggi che il pianeta è puntaspilli per antenne e ripetitori di ogni genere, pare addirittura ovvio: ma quaranta e più anni fa, in regime di monopolio, con i canali radio-tv chiusi in un recinto senza speranza, per uscire dall’impasse l’unica alternativa era aguzzare l’ingegno (Gentile 2005, p. 16).
Ecco allora prosperare festival per ogni stagione, in particolare per quella estiva. Il rischio maggiore è però quello di una saturazione o di una scomparsa precoce è altamente concreto (Il Cantagiro, per esempio, morto negli anni Settanta avrà una seconda vita, in tono minore, a partire dagli anni Novanta; Canzonissima prosegue fino al 1975 per poi trasformarsi in Fantastico con il progressivo sfumare del ruolo delle canzoni). Un’interessante panoramica della situazione viene offerta da Fausto Leali – all’attivo ben sette partecipazioni al Festivalbar – nella sua recente biografia:
Il Festivalbar […] era una creatura che Vittorio Salvetti aveva partorito nel 1964. In quel periodo a ogni stagione discografica corrispondeva una manifestazione televisiva: a Canzonissima si lanciavano i dischi per l’inverno; a Sanremo quelli per la primavera; al Disco per l’Estate, ovviamente quelli per l’estate; e al Cantagiro quelli per l’autunno. In teoria quindi non c’era spazio per un’altra manifestazione, ma lui ebbe un’idea geniale: i jukebox erano dotati di una sorta di “contatore” che rilevava quante volte ogni singolo brano veniva selezionato, quindi li si sarebbe potuti utilizzare per effettuare una specie di sondaggio (Leali 2014, p. 100).
Il rischio d’inflazione costringe Vittorio Salvetti a inventare una formula nuova. La sua idea è quella di impostare un torneo fra i dischi più “gettonati” nei jukebox durante il periodo estivo, con un grande spettacolo e premiazione finale. Il suo Festival al bar (così agli esordi) «riusciva a sfruttare razionalmente quell’importante mezzo di diffusione del disco che era il jukebox e, contemporaneamente, a non impelagarsi nel discusso sistema delle giurie, affidando il giudizio direttamente al pubblico» (Borgna 1992, p. 237). Nel 1962 i jukebox sono 16.500, uno per ogni 3.090 abitanti, nel 1963, con un aumento del 15% rispetto al 1962, sono saliti a 18.890, una media di un apparecchio ogni 2.686 abitanti, sostituendo in molti locali le orchestrine e le altre attrazioni. Si tratta di una distribuzione territoriale molto difforme ovviamente, che varia da regione a regione: si passa dai 4.893 apparecchi in Lombardia, ai 21 in Basilicata, ai 106 in Calabria, ai 179 in Abruzzo (Piazzoni 2011, p. 452).[1] Nel 1967 saranno oltre 25.000. Il jukebox, fulcro di aggregazione per i ragazzi che vi si radunano attorno per ascoltare la musica del momento, diviene il principale mezzo di comunicazione per veicolare le canzoni al pubblico. Antonio Ciampi, direttore generale e, successivamente, presidente della siae, sottolinea nel 1961 la funzione trainante che queste “scatole musicali” esercitano sul consumo privato di dischi: un fenomeno del tutto simile a quanto avvenuto per la televisione, che ha conosciuto un consistente slancio proprio attraverso la visione collettiva tra il 1954 e 1958 (Ciampi, 1961, p. xvi). L’efficacia della manifestazione di Salvetti in termini di promozione e il riscontro sulle vendite di dischi fanno sì che praticamente tutti gli artisti italiani di prestigio vi prendano parte almeno una volta. Tale meccanismo risulterà totalmente rovesciato negli anni Novanta, quando saranno le vendite di inverno e primavera (e le positive previsioni di vendita per la stagione successiva) a determinare la partecipazione o meno di un artista.
Si legge sul Radiocorriere TV del 1970 a proposito dell’introduzione della coppia a Canzonissima:
Un’altra novità di quest’anno è, infatti, costituita dalla gara a coppie: in ogni puntata della prima fase ci saranno sei concorrenti, tre donne e tre uomini; le giurie in sala voteranno per i singoli cantanti, ma durante la trasmissione, mediante speciali giochi, si arriverà a formare tre coppie e sarà la coppia quella che dovrà essere votata dai telespettatori […]. L’idea della coppia dovrebbe servire a sdrammatizzare l’aspetto agonistico di Canzonissima. Nel nostro Paese, il moltiplicarsi dei festival e dei concorsi canori ha portato ad un’altalena di successi e di cadute per i nostri cantanti, che finiscono per vedere compromessi da un cattivo piazzamento in un festival considerato importante anni e anni di carriera. A parte il catastrofico risultato sulla qualità delle canzoni […] questo inseguirsi di festival ha determinato un clima teso fra i cantanti e sono molti i nomi importanti che rifiutano ormai di partecipare alle competizioni per non rischiare il prestigio faticosamente conquistato.
Resta assolutamente esente da tutto questo il Festivalbar. Gli artisti affermati della scena italiana vi partecipano assiduamente, alcuni sono presenze fisse. Mentre il timore di cadute di immagine legate a una sconfitta o a una pessima esibizione, li ha allontanati dalle rassegne a sfondo “agonistico”, primo fra tutti il Festival di Sanremo, dove tornano volentieri solo da «super ospiti».
Agli esordi il Festivalbar deva confrontarsi con due manifestazioni che mobilitano l’interesse e le passioni del pubblico, Un disco per l’estate e la complessa macchina del Cantagiro. Quest’ultimo è un «Giro d’Italia dei cantanti» come lo definisce Rodolfo d’Intino dalle pagine di TV Sorrisi e Canzoni nel 1962, una gara canora strutturata su un percorso a tappe per l’Italia, e prevede una serie di scontri diretti tra i partecipanti, fino a che ogni cantante non si è misurato con tutti gli altri. Alla finalissima accedono gli otto vincitori della semifinale più i primi otto in classifica. In questo caso la votazione è affidata a delle «vere giurie popolari, munite di palette bianche e nere, un sistema che fugava ogni sospetto di “combine”» (Borgna 1992, p. 237). Legato ai jukebox e ai locali pubblici, il Festivalbar appare all’inizio soltanto una iniziativa pubblicitaria e commerciale. Si premia ciò che si gettona. Ma non è così, e la differenza con le altre due manifestazioni non tarda ad apparire. Un disco per l’estate propone delle canzoni, limitandosi a dire ai radioascoltatori: «Ascoltate, deciderete voi quale sarà la canzone estiva». Il Festivalbar dispone, cioè le sceglie in anticipo, dicendo: «Questi sono i motivi, questi i generi, gli stili, i cantanti conosciuti e non che vi diamo. Ascoltateli, gettonandoli. Non vi chiediamo di correre a comperare dischi. Bastano le 100 lire della gettonatura». Ognuno si sente così disc-jockey.
Va dato merito al Festivalbar degli anni Settanta di aver costituito il trampolino di lancio per molti futuri dominatori delle classifiche italiane, secondo lo slogan di Salvetti «scelgo oggi quello che piacerà domani»: seminare in primavera quello che si raccoglierà alla fine dell’estate. Niente novizi da lanciare, ma semmai talenti più o meno noti, da spingere tra le braccia del grande pubblico. È il caso, fra gli altri, di Lucio Battisti,[2] Mia Martini, Claudio Baglioni, vincitori spesso negli anni immediatamente successivi al loro debutto sul palco di Salvetti con brani entrati di diritto nella storia della popular music italiana («Acqua azzurra acqua chiara» vincerà nel 1969 dopo l’esordio di «Prigioniero del mondo» del ’68, «E tu» nel ’74 dopo l’exploit di «Piccolo grande amore» nel ’72; Mia Martini addirittura esordirà vincendo direttamente con «Piccolo uomo» nel ’72). Siamo ben lontani da quei “tormentoni” studiati a tavolino – e lanciati proprio al Festivalbar – appositamente per dominare il tempo di un’estate (due casi su tutti, i Righeira con «L’estate sta finendo» nel 1985 e Valeria Rossi con «Tre parole» nel 2001): «Diciamo la verità [afferma Johnson dei Righeira su TV Sorrisi e Canzoni nell’agosto 1984] siamo cantanti dell’estate. Siamo abbastanza solari, splendenti, demenziali. Con una gran voglia di vivere».
Per capire il meccanismo della gara, si può prendere in esame il Festivalbar 1972 magistralmente raccontato da Menico Caroli su Musikbox del gennaio 1998:
La nona edizione del Festivalbar inizia ufficialmente il 18 aprile, con l’inserimento dei 25 dischi partecipanti alla rassegna nei 40mila jukebox dislocati nei locali pubblici di tutta Italia. Oltre ai music-maker a gettoni, la “giuria” della rassegna è costituita da una campionatura di discoteche che deve rilevare le canzoni più “ballate” della stagione, e, naturalmente, dai fans dei cantanti, i quali sostengono i loro beniamini mediante apposite cartoline-voto (Cairoli 1998).
Sulla piazza di Asiago, il 19 agosto, Vittorio Salvetti proclama vincitrice la venticinquenne Mia Martini che dall’inizio dell’estate ha trionfato nei jukebox di tutta Italia con la canzone «Piccolo uomo» (D. Baldan Bembo – B. Lauzi). L’esordiente Mimì ha conquistato il favore di un pubblico non più limitato a quella ristretta cerchia d’intenditori e critici della carta stampata che, l’anno precedente al Cantagiro del 1971, l’aveva proclamata «rivelazione canora dell’anno» con la canzone «Padre davvero» (A. De Sanctis – P. Pintucci). Si legge su TV Sorrisi e Canzoni nel 1968:
Organizzare un battage promozionale come quello del Festivalbar costa molti milioni, ma sono venute in aiuto a Salvetti alcune ditte che intuendo la possibilità di usare la manifestazione quale veicolo pubblicitario per i propri prodotti, visto il crescente interesse che essa suscita in un pubblico sempre più vasto, si sono proposte come sponsor contribuendo con denaro, striscioni, magliette, cappellini, coppe, manifesti murali, targhe e slogan. Per le ditte sponsorizzatrici è un affare poiché quest’anno la televisione aumenterà lo spazio concesso al Festivalbar passando dai dieci minuti dell’edizione precedente ai quindici attuali.
Un piccolo virus si sta annidando all’interno della kermesse.
Gli anni Ottanta e Novanta: dal jukebox all’egemonia televisiva
Qualche avvisaglia della svolta è già intuibile dalle parole rilasciate del patron Salvetti a Giorgio Lazzarini sul settimanale Oggi del settembre 1980:
Un’estate stanca, che ha dimostrato ancora una volta come nel mondo della musica leggera manchi una seria programmazione tra impresari e case discografiche, come le manifestazioni si accavallino senza una logica: il 21 settembre, per esempio, la TV manda in onda il Festivalbar, e il 27 la serata di Venezia. Non ha senso. […] Si fanno LP di diciotto canzoni ma di solito solo due sono buone e le altre sedici da buttare. E comunque i dischi escono senza che sia prevista una promozione radiotelevisiva tempestiva. Insomma poche idee ma confuse (Lazzarini 1980).
Le idee di Salvetti sono invece tante e ben chiare, non ci vorrà molto perché vengano messe in atto. Nel 1983 la Fininvest ottiene i diritti per il passaggio in chiaro in TV,[3] il Festivalbar cambia format, piegandosi maggiormente alle logiche degli ascolti televisivi (una trasmissione musicale lunga dodici puntate che copre tutta l’estate), divenendo poi, nel passaggio agli anni Novanta, un simulacro della rassegna musicale che fu. Con gli anni Novanta, infatti, viene meno la bellezza della gara; il mezzo con cui si attribuivano le cosiddette canzoni dell’estate, il jukebox, è ormai solo un armadio da scantinato o retrobottega (la moda del vintage lo ha riportato negli anni recenti addirittura nei salotti di casa), il meccanismo di voto non può essere più quindi quello delle “gettonature”, ma il vincitore è stabilito dal numero di passaggi radiofonici e televisivi ottenuti e dai risultati di vendita (già dal 1973 a decretare la canzone vincitrice sono, oltre ai jukebox, le cartoline inviate dai lettori di Tv Sorrisi e Canzoni che dà il patrocinio alla manifestazione). L’estate musicale, nei ricordi di un adolescente degli anni Novanta, è incontestabilmente il Festivalbar; le case discografiche e i manager musicali programmano le date di uscita delle canzoni estive in modo da essere pronti per maggio con il pezzo per far ballare le piazze d’Italia, attraversando in lungo e in largo la nostra penisola da giugno a luglio per poi concludersi con una lunga due giorni a settembre all’Arena di Verona. Il Festivalbar anni Novanta è senza dubbio un evento di successo, ma ben lontano da una gara canora. Si tratta ormai di una passerella e l’appuntamento fisso è sempre di più davanti alla tv. Si consideri per esempio l’edizione del 1995 con una media di quattro milioni di spettatori (la serata finale conta 5.372.000 spettatori sulle due ore e mezza del programma) e uno share sempre tra il 20 e 23%.
Le interferenze televisive si fanno sempre più ingombranti, come dimostra il racconto di Stefano Lorenzetto sul Corriere della Sera del 7 settembre 1992:
Per poter vincere con questo brano [«Mare, mare» – N.d.A.] il 29esimo Festivalbar all’Arena di Verona, il cantante [Luca Carboni – N.d.A.] ha dovuto aspettare fino alle due di notte. Era l’ultimo a salire sul palco dell’anfiteatro romano. Credeva di attaccare il playback poco dopo mezzanotte, invece è rimasto in camerino due ore, anche perché la regia doveva infilare nella maratona tv interminabili stacchi pubblicitari […] Nei tempi morti Gerry Scotti ha dovuto impegnarsi per rabbonire i quattordicimila dell’Arena.
Cosa è andato storto? Cosa è cambiato? La risposta, a mio avviso, va cercata nella promozione video, che ha modificato i termini in cui la musica raggiunge il pubblico. Il potere di stabilire le classifiche è tornato alle case discografiche e, più significativamente, ai produttori televisivi, i quali impongono un’estetica basata su quel concetto che Simon Frith (1990, p. 220) chiama «buona televisione pop».
Alla metà degli anni Ottanta, infatti, si registra la crescita di interesse per iniziative come Vota la voce, il concorso referendum, nato nel 1973, indetto fra tutti i lettori di TV Sorrisi e Canzoni per laureare i migliori artisti suddivisi in quattro categorie: il cantante, la cantante, il complesso e gli stranieri. La finale dell’edizione 1985, per esempio, va in onda a settembre in due serate su Canale 5 dalla grande cornice dei trentamila di Piazza Maggiore a Bologna. Il cast è il migliore fra le grandi manifestazioni di fine estate. Fra i quarantadue partecipanti c’è Baglioni, il vero trionfatore di quella stagione discografica, i Pooh, Loredana Bertè, Luis Miguel, Sandy Marton e soprattutto i vincitori delle più importanti manifestazioni canore di quell’anno, tutti in una notte: gli eccentrici Righeira, reduci dal successo al Festivalbar; i Ricchi e Poveri trionfatori a Sanremo; Tony Esposito vincitore a Saint Vincent Estate; Fiorella Mannoia che si è aggiudicata Premiatissima e che ha portato al successo la sua squadra ad Azzurro ’85. Senza dimenticare Antonello Venditti, cui è affidata la sigla d’apertura, che ha ottenuto la Vela d’oro. Anche un vecchio rivale non resta a resta a guardare. Saint Vincent Estate, la manifestazione canora organizzata da Gianni Ravera, che sostituisce per alcuni anni Un disco per l’estate, con le sue tre serate in onda alla fine di giugno è la vetrina della stagione estiva della musica della Rai; vi si danno battaglia venti giovani e sedici big per piazzare la fatidica “canzone per l’estate”. Ogni sera il programma è completato da una serie di ospiti internazionali, quattro presentatori e due comici di turno (per l’edizione ’84, a esempio, Gino Bramieri e Pippo Franco).
La competitività televisiva e non solo (nel 1984 per esempio vince Vota la voce per la categoria donne Gianna Nannini già trionfatrice, pochi giorni prima, al Festivalbar) stimola uno snaturarsi della gara canora di Salvetti diventato prima di tutto uno spettacolo televisivo di cui l’indiscussa prassi del playback (abolito invece al Festival di Sanremo dal 1986) dice già molto. Come non citare l’estate 1995, Piazza del Popolo ad Ascoli Piceno, Gianluca Grignani si presenta sul palco del Festivalbar per “cantare” «Falco a metà», ma forse in stato d’alterazione psicofisica, forse per protesta verso l’assurdità della situazione, una volta partita la base musicale, si infila il microfono in tasca, passeggia sul palco e addirittura ne discende per discutere con il pubblico, tutto questo mentre la canzone va avanti e l’artista è strattonato da pubblico e sicurezza. Ovviamente la scena ha subito numerosi tagli nell’andata in onda, in differita, sulle reti Mediaset.[4]
Altamente esemplificativo di quanto il Festivalbar sia divenuto progressivamente parte integrante di quel meccanismo che invita al rapido consumo dell’esperienza musicale, sono i festeggiamenti del 1996. Nel dicembre di quell’anno, infatti, per festeggiare il 33° compleanno del Festivalbar, Vittorio Salvetti inventa Stelle della Musica. Un varietà in due puntate su Italia 1 in cui si esibiscono ad Asiago – sede della prima edizione del Festivalbar – oltre trenta artisti di fama mondiale; a ben guardare ci sono quasi tutti quelli che hanno nei negozi un disco di recente uscita (Dalla, Battiato, De Gregori, De Andrè, i Pooh, Fossati, Baglioni, ecc.). Se a qualcuno fosse venuta malignamente l’idea di «un lussuoso catalogo per le spese natalizie» – come sottolinea La Repubblica del 2 dicembre –, a fugare ogni dubbio ci pensa Salvetti stesso che dalle pagine di TV Sorrisi e Canzoni precisa, «non è una gara, i cantanti verranno soltanto a presentare i loro successi del momento» (Minini 1996, p. 60). E non è un caso, che al timone del varietà ci sia Amadeus (con Elenoire Casalegno), un habitué del Festivalbar in quanto conduttore delle precedenti quattro edizioni. Ne nasce inevitabilmente anche un doppio cd dal titolo quanto mai esplicativo Festivalbar presenta Le Stelle della Musica 96. All’interno vi sono fra gli altri Dalla, Antonacci, Articolo 31, Nannini, Masini, Morandi, Raf, Pooh, Battiato, Ligabue, Fossati, Ramazzotti, Nomadi, Spagna, Joe Cocker, Concato, insomma tutti nomi che hanno avuto la loro gloria sul palco del Festivalbar (o ai quali viene reso omaggio in quanto portatori di visibilità al Festivalbar?). Insomma, un compleanno quanto mai esplicativo della condizione del Festivalbar alla metà degli anni Novanta. Le case discografiche, in collaborazione con la rete televisiva e gli sponsor, presentano uno spettacolo di successo ma fittizio. Se il disco da vendere è di plastica, che anche i suoni e la confezione televisiva siano rispondenti al prodotto. «Al posto di un cosciente legame individuale o collettivo con una determinata musica e un determinato complesso ecco gli odiosi meccanismi, alienanti e alienati, di mercificazione e commercializzazione, di divo e hit, di denaro e immagine pubblicitaria» (Kaiser 1971, p. 194).
La prassi di proporre il «blindatissimo» playback della canzone più nota del loro disco – tra l’altro la stessa che le radio battono dalla mattina alla sera senza considerare l’esistenza di un intero album composto magari di canzoni migliori – fa sì che gli artisti si esibiscano come burattini in una scatola, musica preregistrata, gara già decisa dal mercato, solo il pubblico è vivo, solo l’ascoltatore trasmette emozione. Ma quanto potrà durare ancora?
Il nuovo secolo e il declino del Festivalbar
Il 1980 si era aperto con quel «Video Killed the Radio Star» – datato ottobre 1979 e per quindici settimane in vetta alle classifiche – con cui i Buggles, formazione nata e scomparsa (Trevor Horn e Geoff Downes entreranno a far parte degli Yes) forse solo per dare al mondo questa verità incontrovertibile, segnalavano l’avvento dello strapotere della tv non solo sulla radio, ma in generale su tutti i mezzi di comunicazione. Il titolo di questo saggio, parafrasando appunto i Buggles, vuole segnare un nuovo passo, un nuovo dominio: quello di Internet sulla radio e la televisione.
Il Festivalbar dal canto suo è ormai giunto troppo lontano dalla sua ragion d’essere originaria. Se alla metà degli anni Sessanta l’intento era di sfruttare razionalmente quell’importante mezzo di diffusione del disco che era il jukebox, cosa succede nel momento in cui quegli stessi spettatori sono in grado di costruirsi dal proprio pc un jukebox personale? Il pubblico del 2000 non subisce più con la medesima inerzia di un tempo le impostazioni di chi, dietro le quinte, regge le fila del Festivalbar (e le manifestazioni affini), comincia piuttosto a cercare nuovi canali di diffusione e fruizione per la canzone. Ecco allora che la rete diviene un punto di riferimento obbligato permettendo all’ascoltatore la fruizione di musica attraverso YouTube, un modernissimo cinebox in grado di soddisfare anche i gusti più transitori. L’avvento della rete globale e di YouTube trasforma ogni ascoltatore in un potenziale Salvetti, con un click abbiamo musica e immagine, un’immagine e una musica sempre uguali, perfetti e “congelati” nel tempo. E se si vuol essere ancora uno spettatore “convenzionale”, basta cliccare sull’indicazione “le hit del momento” è il Festivalbar è a casa tua.
Con tutto questo non si vuol negare che abbia influito anche la crisi economica degli ultimi anni. D’altronde non è un mistero che ormai la presenza di sponsor sia la condizione essenziale di sopravvivenza/esistenza in moltissimi campi (cinema, tv, calcio). Il naufragio in termini di ascolti e visibilità delle ultime edizioni della manifestazione di Salvetti ha messo in rotta gli sponsor. I quali però non hanno impiegato molto tempo a proporre surrogati come il Music Summer Festival – Tezenis live (già dal nome si comprende il ruolo dominante assunto dello sponsor). Per il Festivalbar sono semplicemente venuti meno gli interessi economici, questo perché la rassegna musicale ha perso il suo fascino; è giunta troppo lontano da sé, o in molti casi ha finito per rinnegare gli elementi che ne erano all’origine.
Non ci si soffermerà in questa sede su YouTube e sul suo ruolo di divulgatore musicale, in quanto storia troppo recente, portatrice di grandi novità nel settore musicale, non sempre interpretabili proprio perché è ancora presto, oggi, per tracciarne un bilancio delle loro conseguenze. Una considerazione, però, si può azzardare. A ben guardare il principio base di YouTube ha un antenato nel cinebox, “arnese” diabolico e seducente (di produzione italiana!) che, come viene comunemente detto, inventò il videoclip a colori. Si tratta di un ingombrante apparecchio, simile al jukebox, dotato però di un monitor che mostra le immagini sceneggiate della canzone, in altre parole cortometraggi di un paio di minuti costruiti esclusivamente sul brano. Si potrebbe giustamente obiettare che nel mezzo fra questi due estremi, l’anziano cinebox e il rampante YouTube, si colloca mtv, con i suoi video e tutte le conseguenze che essa ha portato al mondo musicale e alla società determinando la cosiddetta “generazione mtv”.[5] Tom Preston, presidente di Music Television, riassume i fatti in questo modo su Q Magazine del febbraio 1987:
MTV ha effettivamente rivoluzionato il modo in cui la gente vede e usa la televisione e ascolta e consuma la musica. Abbiamo preso i due passatempi di una generazione – guardare la tv e ascoltare la musica – e li abbiamo combinati (Preston 1987).
C’è, però, una differenza, a mio avviso, apparentemente scontata ma determinante: YouTube è un contenitore dal quale si può scegliere, anzi si è obbligati a fare una scelta per dare il via a un brano musicale; MTV, invece, applica il principio radiofonico della rotazione continua (spesso secondo logiche di mercato, quindi spazio massiccio alle novità o agli artisti con novità in uscita) e all’ascoltatore-osservatore viene data solo una piccola possibilità decisionale, magari attraverso sms o telefonate in determinati programmi e fasce orarie. Quello adoperato da mtv e dalle altre tv musicali è chiaramente «un modello di palinsesto desunto direttamente dalla radio: di qui la loro organizzazione del tempo, la concezione del flusso dei programmi, le sequenze d’ascolto e le alternanze fra “leggero” e “forte”» (Frith 1990, p. 244), senza contare poi la presenza dei video jockey – i “veejays” – e dei notiziari “lampo”.
In sintesi, su YouTube è l’ascoltatore che sceglie (è il “tuo canale”), su MTV sono gli altri a scegliere per l’individuo. Torna alla mente la sigla televisiva con cui era presentato nel 1964 (guarda un po’!) proprio il cinebox: «Cinebox cinebox, che conquista dell’alta fedeltà, cinebox cinebox il cantante che più ti piacerà, non solo puoi vedere ma tu lo puoi sentire con sole 100 lire se ciò ti piacerà, l’autografo ti firmerà!».
Ogni canzone intelligente va accompagnata con una faccia e una mimica intelligenti. È la voce che dà il ritmo ma è il volto del cantante che crea l’atmosfera, ecco perché si è deciso di mettere al bando i vecchi jukebox sostituendoli con dei più moderni cinebox. Con queste macchine, adoperando il solito gettone, e manovrando le solite manopoline che fanno ruotare lettere e numeri, potrete non soltanto ascoltare Little Tony o Bobby Solo, ma vederli! [in questo punto era adoperata una particolare inflessione della voce e la parola “vederli” era scandita con lentezza – N.d.A.). Il che dicono sembri dia una grande soddisfazione. Insomma se continua di questo passo, sarà vano ogni sforzo di scegliere per andare a ristorante le ore in cui non imperversi la televisione, perché potrete sempre trovare un cinebox con un cantante che guardandovi con fiero cipiglio allieterà la degustazione del vostro bel piatto di pastasciutta […]. Sono gli inconvenienti del progresso (Cinebox alla fiera di Milano – Cinegiornale 1964).
Piace a questo punto pensare che il cinebox, dopo oltre quarant’anni dalla sua prematura scomparsa dal mercato – a causa dei costi di realizzazione dei filmini musicali e di varie disavventure giudiziarie – si sia preso la sua rivincita sul jukebox, attraverso questo suo intraprendente pronipote digitale. Il cinebox è tornato, ora si fa chiamare YouTube e ha ucciso il Festivalbar… Chi sarà il prossimo?
Bibliografia
Baldazzi, Gianfranco. 1989. La canzone italiana del Novecento. Roma, Newton Compton.
Borgna, Gianni. 1992. Storia della canzone italiana. Mondadori, Milano.
Caroli, Menico. 1998. «Festivalbar 1972», in Musikbox, a. 2, n. 13, pp. 20-23.
Castello, Fabio. 1970. «Canzonissima ’70 festa popolare», in Radiocorriere TV, a, 47, n. 37, settembre, pp. 30-32.
Ciampi, Antonio. 1961. «Premessa», in SIAE, Lo spettacolo in Italia. Annuario statistico 1961, Pubblicazioni SIAE, Roma, pp. I – XVI.
Ciampi, Antonio. 1962. «In Lombardia 450 juke-boxes soltanto undici in Basilicata», in Corriere della Sera, 7 novembre.
Ciampi, Antonio. 1965. Il tempo libero in Italia. Bompiani, Milano.
De Luigi, Mario. 1982. L’industria discografica in Italia. Roma, Lato side.
Flippo, Chet. 1987. «Mtv – The American Revolution», in Q Magazine, febbraio, p. 40.
Frith, Simon. 1990. Il Rock è finito. Miti giovanili e seduzioni commerciali nella musica pop. Torino, EDT.
Gentile, Enzo. 2005. Legata a un granello di sabbia. Storie e amori, costume e società nelle canzoni italiane dell’estate. Milano, Melampo.
Kaiser, Rolf-Ulrich. 1971. Guida alla Musica Pop. Milano, Mondadori.
La Repubblica. 1995. «Festivalbar Grignani non canta», in www.repubblica.it, <http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/09/04/festivalbar-grignani-non-canta.html> Ultimo accesso: 29 giugno 2015.
La Repubblica. 1996. «Elenoire e Amadeus tra le stelle della musica», in www.repubblica.it, <http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/12/02/elenoire-amadeus-tra-le-stelle-della-musica.html> Ultimo accesso: 29 giugno 2015.
Lazzarini, Giorgio. 1980. «Bosè emigra a Hollywood», in Oggi, n. 39.
Leali, Fausto. 2014. Notti piene di stelle: gli anni d’oro della canzone italiana tra segreti e nostalgia. Milano, Rizzoli.
Lorenzetto, Stefano. 1992. «Carboni vince quando l’Arena sogna», in Corriere della Sera, 7 settembre.
Minini, Simonetta. 1996. «Mille stelle sul ghiaccio. Il Festivalbar festeggia ad Asiago», in TV Sorrisi e Canzoni, a. 45, n. 48, dicembre, pp. 60-61.
Nuora, Ettore. 1984. «I Righeira prendono il toro per le corna», in TV Sorrisi e Canzoni, a. 33, n. 35, agosto.
Piazzoni, Irene 2011. La musica leggera in Italia dal dopoguerra agli anni del boom: cultura, consumo, costume. Milano, L’ornitorinco.
Discografia
Baglioni, Claudio. 1972. «Piccolo grande amore», RCA Italiana PM 3672, 45 giri.
Baglioni, Claudio. 1974. «E tu» / «Chissà se mi pensi», RCA Italiana TPBO 1041, 45 giri.
Battisti, Lucio. 1968. «Prigioniero del mondo» / «Balla Linda», Ricordi SRL 10495, 45 giri.
Battisti, Lucio. 1969. «Acqua azzurra, acqua chiara» / «Dieci ragazze», Ricordi SRL 10538, 45 giri.
Battisti, Lucio. 1970. «Fiori rosa fiori di pesco» / «Il tempo di morire», Ricordi SRL 10593, 45 giri.
Bella, Gianni. 1974. «Più ci penso» / «L’arancia non è blu», Derby DBR 2339, 45 giri.
Bella, Gianni. 1976. «Non si può morire dentro» / «T’amo», Derby DBR 4161, 45 giri.
Buggles, The. 1979. «Video Killed the Radio Star», Island WIP 6524, 45 giri.
Carboni, Luca. 1992. «Mare mare», in Carboni, RCA Italiana PD 75274, cd.
Celentano, Adriano. 1962. «Stai lontana da me», Clan Celentano ACC 24001, 45 giri.
Grignani, Gianluca. 1995. «Falco a metà», in Destinazione Paradiso, Mercury, cd.
Martini, Mia. 1971. «Padre davvero» / «Amore… amore… un corno!», RCA Italiana PM 3589, 45 giri.
Martini, Mia. 1972. «Piccolo uomo», Ricordi SRL 10669, 45 giri.
Righeira. 1985. «L’estate sta finendo», CGD 15187, lp.
Rossi, Valeria. 2001. «Tre parole», BMG, cd.
Note
[1] Irene Piazzoni trae i dati sulla diffusione dei jukebox sulla penisola italiana da Ciampi 1962 e Ciampi 1965.
[2] Lucio Battisti si era già rivelato al Cantagiro ’68 con «Balla Linda» arrivando al quarto posto e producendo la scalata in classifica del 45 giri «Prigioniero del mondo» / «Balla Linda». È però, la manifestazione di Salvetti a lanciare, attraverso il jukebox, nel ’69 «Acqua azzurra, acqua chiara» e nel ’70 «Fiori rosa, fiori di pesco». Qualcosa del genere, sia pure in maniera meno clamorosa si è ripetuto in seguito per Gianni Bella. Fino al ’74, Bella vive nell’ombra, accontentandosi di scrivere le canzoni per sua sorella Marcella. Sebbene si riveli finalmente come cantante a Un disco per l’estate ’74 con «Più ci penso», è solo due anni dopo con «Non si può morire dentro» che vince il Festivalbar e si piazza al primo posto della top ten italiana.
[3] Il Festivalbar era andato in onda in televisione, sul secondo canale, per la prima volta già il 9 settembre alle 22.35 del 1966 per la regia di Grjtzko Mascioni, un servizio di dieci minuti nell’ambito del programma Juke Box Sotto Voce, in cui erano stati però presentati solo i brani in finale. Nel 1967 vanno in onda ancora i soli brani arrivati in finale nell’ambito di una ventina di minuti all’interno di Juke Box Sotto Voce. L’anno successivo la Rai, accortasi finalmente dell’importanza della manifestazione, trasmette per un’ora e mezza la serata finale (sempre sul secondo canale).
[4] Il video senza censure della performance di Grignani, caricato su YouTube in anni recenti e letteralmente sommerso di visualizzazioni al punto da divenire leggendario, è stato in seguito rimosso, come richiesto dagli avvocati di Mediaset.
[5] Nell’agosto 1981 la televisione via cavo Warner Amex offrì ai propri abbonati Music Television, Mtv, un servizio musicale di ventiquattro ore al giorno, il primo canale televisivo specializzato nel pop. Il suo successo ispirò imitatori come la canadese Much Music (ventiquattro ore al giorno, in tre blocchi ripetuti di sei ore ciascuno, dal settembre ’84) e Music Box (trasmesso da Sky Channel nell’82, indipendente dall’84). Molti paesi europei dispongono ormai di varie emittenti locali di videomusica, (a partire da mtv Europe varata nell’agosto ’87).